Il lavoro dei bambini nelle piantagioni di tabacco, il rapporto di Human Rights Watch. È italiana la prima filiera che si impegna a essere socialmente responsabile
Fabrizia Paloscia
Nonostante l’Oms preveda che nel 2030 il tabacco mieterà 10 milioni di vittime all’anno di cui più del 70% nei paesi in via di sviluppo. Nonostante l’eclatante sentenza pronunciata quest’anno in Escambia, contea della Florida, dove il gigante del tabacco BJ Reynolds, che produce Camel, Lucky Strike e altro, è stato costretto a pagare una condanna da 19 miliardi alla vedova di un uomo morto a causa del troppo fumo. Nonostante tutto ciò, i danni da nicotina vanno oltre il consumo e si spalmano sulla produzione, nelle coltivazioni, danneggiando i lavoratori che… sono bambini e minori.
L’inquietante rapporto pubblicato da Human Rights Watch ha iniziato a circolare in Europa a maggio 2014. E’ il risultato delle interviste realizzate, fra maggio e ottobre 2013, a 141 bambini, dai 7 ai 17 anni, che lavorano nelle fattorie negli Stati del Nord Carolina, Kentucky, Tennessee e, Virginia, dove si coltiva il 90 per cento di tabacco degli Stati Uniti. Il rapporto documenta come questi bambini lavoratori si ammalano a causa dell’esposizione alla nicotina, ai pesticidi tossici, e ad altri pericoli. L’avvelenamento acuto da nicotina dà i sintomi che i bambini dichiarano di sopportare, ovvero vomito, nausea, mal di testa, vertigini e sintomi propriamente compatibili con questo forte tipo di intossicazione. I bambini hanno riferito di giornate di lavoro eccessivamente lunghe, fino a 72 ore settimanali, senza ricevere la retribuzione degli straordinari e assorbendo costantemente nicotina attraverso la pelle. Anche se i numeri precisi sono difficili da trovare, è abbastanza comune trovare ragazzi che lavorano con aziende USA tabacchicole nei mesi estivi. Eppure gli Stati Uniti hanno leggi per proteggere i bambini dai danni della nicotina nelle sigarette, ma non ci sono restrizioni per proteggerli dall’esposizione alla nicotina nei campi di tabacco. E non bastano le prove che tale esposizione può essere particolarmente dannosa per i bambini, il cui cervello e gli organi sono ancora in via di sviluppo.
Una bambina lavoratrice spiega come si è ammalata il suo primo giorno di lavoro nel settore del tabacco la scorsa estate: “il mio stomaco ha iniziato a farmi male, mi veniva da vomitare, e poi ho avuto un mal di testa.” I sintomi che lei descrive sono tipici dell’avvelenamento da nicotina, una patologia ben documentata anche conosciuta come Green Tobacco Sicknes, malattia del tabacco verde. Le neurotossine note per avere la capacità di causare danni neurologici e riproduttivi a lungo termine sono, invece, rilevate tra i bambini che lavorano nella mansione di spruzzare i pesticidi. Molti di loro dichiarano di aver guidato i trattori per irrorare i pesticidi nei campi confinanti alle coltivazioni. Inoltre spesso le condizioni climatiche arrivano a temperature molto alte e i bambini lavorano nei campi senza alcuna protezione e senza equipaggiamento protettivo adeguato. Non mancano, fra le mansioni affidate ai bambini, l’utilizzazione di strumenti e macchinari pericolosi, il sollevamento di carichi pesanti. Fra queste le posture assai difficoltose, faticose e pericolose da tenere salendo nei granai ad appendere il tabacco per l’essiccazione, rischiando così quotidianamente gravi lesioni e cadute.
Le più grandi aziende produttrici di tabacco del mondo acquistano tabacco coltivato nelle aziende agricole degli Stati Uniti. Tuttavia, nessuna delle società ha politiche di protezione dei bambini dal lavoro pericoloso nelle fattorie di tabacco. Secondo la legge degli Stati Uniti, i bambini non sono autorizzati a lavorare fino a all’età di 14 anni, e non ci sono limiti rigorosi sull’orario di lavoro e la tipologia di mansioni. Vi è solo il settore agricolo dove, fino a quando un genitore dà il permesso, un bambino di soli 12 anni può essere legalmente assunto per lavorare in una fattoria con un orario di lavoro non vincolato e senza protezioni specifiche per i bambini rispetto al rischio lavorativo o ambientale a cui si espongono. Per le aziende tabacchicole i rischi di salute imporrebbero tutele stringenti. E per assurdo non c’è un’età minima per i bambini che lavorano presso queste aziende.
Human Rights Watch chiede alle aziende produttrici di tabacco di varare politiche per vietare ai bambini di impegnarsi in qualsiasi attività che metta a rischio la loro salute e sicurezza. La compagnia Human Rights Watch invita inoltre l’amministrazione Obama e il Congresso ad agire per proteggere i bambini dai pericoli della coltivazione del tabacco. Ma ancor di più con il suo rapporto Tobacco’s hidden children denuncia la necessità di nuove leggi sul lavoro minorile negli Stati Uniti. I player globali del tabacco dicono di essere preoccupati per il lavoro minorile nelle loro catene di approvvigionamento. Ma, in base al rapporto di Human Rights Watch, non si rilevano approcci atti a proteggere i bambini dal lavoro pericoloso. Invece alcune aziende si permettono di abbassare il livello di protezione per i bambini nella loro catena di approvvigionamento degli Stati Uniti e nelle aziende agricole di tabacco in altri paesi.
Questo si scontra con i bambini che spesso vogliono concorrere al bilancio familiare, come insegnano i bambini del Perù che creano il sindacato dei “NATS-Ninos Adolescentes TrabajadoreS, per impostare una politica giusta e corretta sul tema del lavoro e i bambini. I NATS sono i “sindacati” dei bambini peruviani e latino-americani, asiatici e africani. Affermano il principio di poter decidere di concorrere al bilancio finanziario della famiglia. Cioè vogliono poter lavorare senza trovare Ong e istituzioni che, per salvaguardarli, non permettono loro di compiere questo atto di corresponsabilità familiare. Chiedono, però, che vi siano lavori a loro adatti, e che alle ore di lavoro corrisponda la possibilità di altrettante ore di studio e di gioco[1]”. Infatti la bambina americana dichiara di essere felice di avere un lavoro estivo e di guadagnare denaro. Quando le si chiede perché ha iniziato a lavorare nel settore del tabacco, risponde “Volevo solo aiutare la mia mamma.” Come lei così la maggior parte dei ragazzi intervistati, usano i loro guadagni per la scuola, per l’abbigliamento o per aiutare i loro genitori a pagare le bollette. Ma guadagnare denaro per i bisogni di base non deve esporre un bambino a pericoli e lesioni debilitanti se non mortali. Le compagnie del tabacco dovrebbero rendere chiaro che non compreranno il tabacco da aziende agricole che utilizzano il lavoro minorile, supportando invece le opportunità di istruzione e di occupazione alternative. E il Congresso americano dovrebbe emanare leggi che limitano il lavoro minorile nei campi di tabacco.
E IL RESTO DEL MONDO?
Già nei primi anni 2000 emerse il dato allarmante di 246 milioni di bambini, in tutto il mondo, che lavoravano invece di giocare o di studiare. E almeno 73 milioni di loro avevano meno di 10 anni. L’ILO-Organizzazione Internazionale del Lavoro divulgava una serie impressionante di dati aggiornati sul fenomeno. Che riguarda ciascun paese, seppure con modalità e intensità diverse, dal Sud al Nord del pianeta. L’ILO stimava che 2,5 milioni i bambini lavoratori nei paesi sviluppati e altri 2,5 milioni quelli che lavoravano nei paesi in transizione (come gli Stati dell’ex Unione sovietica). L’area in cui è più alto, in proporzione, l’impiego di minori è l’Africa subsahariana, dove lavora quasi un terzo, 48 milioni, dei bambini di età inferiore ai 14 anni. Mentre la maggior parte dei bambini di età inferiore ai 14 anni, circa 127 milioni, costretti a lavorare, vive nella regione dell’Asia e del Pacifico. In Italia, secondo un’inchiesta della Cgil, nel 2000 erano almeno 400 mila i minori impiegati nel lavoro.
…E L’ITALIA COSA FA? L’ACCORDO PER UNA FILIERA SOCIALMENTE RESPONSABILE CON PHILIP MORRIS
È aprile 2014 e un accordo viene sottoscritto dalla Coldiretti e Philip Morris Italia con l’obiettivo di salvaguardare una coltivazione importante per l’economia di interi territori spesso senza alternative economicamente valide e caratterizzati da alti tassi di disoccupazione. E’ parte fondamentale dell’accordo l’adozione di specifici programmi per la divulgazione e il monitoraggio delle buone pratiche agricole (Good Agricolture Practices) proprio per ridurre gli impatti sulla salute del prodotto sui consumatori. A queste si aggiungono l’attenzione alle condizioni di lavoro dei lavoratori (Agricolture Labor Practices), volti a garantire la sostenibilità ambientale della produzione e la responsabilità sociale dei produttori che parteciperanno al contratto di fornitura. Cioè tutti i diritti del lavoro e fondamentali saranno rispettati, come esprimono le Convenzioni internazionali dell’ILO. Saranno sviluppate attività collaterali per promuovere iniziative a tutela del consumatore e della legalità e contro il contrabbando e la contraffazione, per la ricerca agronomica, la tutela dell’ambiente, l’efficientamento dei costi di produzione e per una più consapevole gestione dei rischi delle attività di coltivazione e raccolta.
La filiera italiana ha circa 50mila addetti nelle sole fasi di coltivazione e prima trasformazione e una produzione nel 2013, pari a 51,4 milioni di chilogrammi di tabacco. Con l’accordo la filiera punta, nei prossimi due anni, a consegnare e acquistare oltre il 40 per cento della produzione nazionale di tabacco a chilometro zero e rispettosa, nella produzione, dei diritti di tutti coloro che concorrono a questa. L’accordo riguarda l’intera produzione acquistata sul territorio nazionale da Philip Morris, che è la prima manifattura in Italia, e la Coldiretti auspica che, al contratto di fornitura, possano partecipare tutti i produttori che già hanno fornito tabacco alla manifattura in passato, aderendo singolarmente al nuovo progetto.
COSA PENSANO I CONSUMATORI GLOBALI
Si chiama Convenzione quadro per il controllo del tabacco, FCTC – Framework Convention on Tobacco Control il goal più grosso che i consumatori globali incassano. Con un sì unanime, Stati Uniti inclusi, i 192 Paesi membri dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) approvano nel maggio 2003 a Ginevra il primo Trattato internazionale contro il fumo. La Convenzione è, quindi, l’esito del forte impegno di più di 100 associazioni di consumatori, Ong e attori sociali che danno vita nella primavera del 1999 alla NATT, proprio per garantire una voce forte e unificata sul controllo delle multinazionali del tabacco, con definizione di standard globali di massima affinché le aziende siano responsabili delle politiche, delle pratiche, dei modi di produzione e dei prodotti che mettono in pericolo la salute umana e l’ambiente.
QUAL È IL SENSO di ledere la vita dei bambini per produrre quando nel mondo gli adulti soffrono di una mancata piena occupazione? Perché sulla risorsa più preziosa che abbiamo, le generazioni future, ancora oggi si determinano in troppi settori soprusi di grave portata. I bambini nel mondo sono resi schiavi su molte mansioni lavorative a loro non adatte, e ancor di più arruolati a essere soldati nella maggioranza dei conflitti mondiali. Si tratta di espandere uno sviluppo che abbia una qualità olistica[2] intrinseca, che sia giusto e corretto nelle produzioni e nei servizi. Urge l’impegno di tutti per compiere questa svolta prima di giocarci del tutto il senso della vita dell’umanità e del pianeta.
[1] Fabrizia Paloscia, Fabrica Ethica: un’utopia applicata. Costruire in modo olistico la responsabilità sociale delle imprese. prefazione Wolfgang Sachs, Firenze, EdiFir – Edizioni Firenze, maggio 2011, pp. 20-21.
[2] Ibidem, pp.77-214
Fabrizia Paloscia è consulente olistica e strategica per l’imprendere, esperta internazionale di CSR e microcredito