Boehringer Ingelheim e Eli Lilly and Company hanno annunciato in un comunicato stampa i risultati top-line dello studio EMPA-REG OUTCOME®, che indaga gli effetti di empagliflozin, su oltre 7000 pazienti con diabete di tipo 2 ad alto rischio di eventi cardiovascolari.
Lo studio è stato completato, ha raggiunto l’endpoint primario e ha dimostrato la superiorità di empagliflozin, in aggiunta alla terapia standard, nel ridurre il rischio cardiovascolare.
Empagliflozin ha ridotto significativamente il rischio di morte cardiovascolare, infarto non fatale o ictus non fatale del 14% rispetto al placebo. Il rischio di morte cardiovascolare è stato ridotto del 38%, con nessuna differenza significativa nel rischio di attacco cardiaco non fatale o ictus non fatale. Il trattamento con empagliflozin ha anche ridotto del 32% il rischio di mortalità per qualsiasi causa e del 35% il rischio di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca.
Empagliflozin
Lo studio clinico EMPA-REG OUTCOME su empagliflozin
EMPA-REG OUTCOME è uno studio clinico a lungo termine di fase III, multicentrico, randomizzato, in doppio-cieco, controllato verso placebo che ha coinvolto oltre 7000 pazienti con diabete di tipo 2 e con scarso controllo glicemico ad alto rischio di eventi cardiovascolari di 42 Paesi (osservati per una durata mediana di 3,1 anni).
Il disegno dello studio prevedeva la valutazione dell’effetto di empagliflozin (10 mg o 25 mg una volta al giorno) sugli eventi cardiovascolari verso placebo, associati alla terapia standard, che comprendeva agenti ipoglicemizzanti e farmaci utilizzati per patologie cardiovascolari, inclusi gli antiipertensivi e ipolipemizzanti (statine).
Lo studio è stato disegnato per la valutazione della non-inferiorità e, se soddisfatta, della valutazione di superiorità.
L’endpoint primario, che era rappresentato dal tempo intercorso fino al primo di uno dei seguenti eventi: morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico non fatale o ictus non fatale, è stato raggiunto in una percentuale significativamente inferiore di pazienti nel gruppo empagliflozin (490 di 4687 [10,5%]) rispetto al gruppo placebo (282 di 2333 [12,1%]).
L’endpoint secondario è stato raggiunto in 599 dei 4687 pazienti (12,8%) nel gruppo empagliflozin e 333 di 2333 pazienti (14,3%) nel gruppo placebo (hazard ratio 0,89; 95% CI, 0,78-1,01; p < 0,001 per la non inferiorità e P = 0,08 per la superiorità).
Rispetto al placebo, empagliflozin ha determinato un rischio significativamente più basso di morte per cause cardiovascolari (hazard ratio 0,62; 95% CI, 0,49-0,77; p <0,001), morte per qualsiasi causa (hazard ratio 0,68; 95% CI, 0,57-0,82, p < 0,001) e ospedalizzazione per insufficienza cardiaca (hazard ratio 0,65; 95% CI, 0,50-0,85; p = 0,002).
Sottoanalisi predeterminate dello studio evidenziano che, nel tempo mediano di 3,1 anni, empagliflozin ha ridotto significativamente, del 14% verso placebo, il rischio di decesso per causa cardiovascolare o infarto del miocardio non-fatale o ictus non-fatale.
La riduzione del rischio di mortalità cardiovascolare è stata del 38%, senza alcuna differenza significativa nel rischio di infarto non-fatale o ictus non-fatale.
Il trattamento con empagliflozin ha comportato anche la riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause del 32% e del rischio di ricovero per insufficienza cardiaca del 35%.
Il profilo di sicurezza di empagliflozin in questo studio è risultato in linea con quanto emerso in studi precedenti.
L’incidenza di chetoacidosi diabetica è stata pari o inferiore allo 0,1% e simile in tutti i gruppi in trattamento.
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