L’osteoporosi causata da farmaci è una comune forma di osteoporosi secondaria, cioè è la perdita di tessuto osseo determinata non da malattie endocrine, ematologiche, gastrointestinali, renali ecc., ma da terapie farmacologiche.
Si calcola che proprio i farmaci siano la causa principale di osteoporosi secondaria che interessa quindi non soltanto donne in post-menopausa e soggetti anziani, ma anche soggetti giovani. Tra i “colpevoli” si annoverano cortisonici, immunosoppressori, diuretici, anticoagulanti, chemioterapici e ormoni tiroidei.
Ne hanno discusso gli esperti riuniti dal GIOSEG, il Gruppo di Studio su Glucocorticoidi e osso e sull’Endocrinologia dello Scheletro nella 9° Conferenza Internazionale GIO di Roma.
Osteoporosi primaria e secondaria
Nell’osteoporosi primaria la prevalenza è appannaggio delle donne nel periodo successivo alla menopausa perché presentano fisiologicamente una minore massa ossea rispetto agli uomini e dopo la fine dell’età fertile pagano lo scotto della perdita di protezione da parte degli estrogeni.
In quella secondaria la fanno da padrone, oltre ad alcune malattie, terapia di svariate condizioni, in primo luogo i cortisonici.
Osteoporosi e cortisonici
Andrea Giustina, professore ordinario di Endocrinologia all’Università di Brescia e presidente del GIOSEG, spiega: «Sappiamo ormai da tempo che i glucocorticoidi, più conosciuti con il termine di cortisonici, determinano una perdita di densità minerale particolarmente rapida a livello trabecolare (il tessuto lamellare che costituisce l’osso maturo): nei primi 6-12 mesi di terapia può raggiungere una importante diminuzione sino al 15% in un anno per poi rallentare, pur mantenendo un ritmo negativo del 3-5% per ogni anno di terapia. Fratture che possono essere asintomatiche si verificano nel 30-50% dei pazienti che ricevono queste terapie a lungo termine: l’analisi morfometrica del corpo vertebrale in uno studio multicentrico italiano coordinato da GIOSEG apparso sulla rivista scientifica Bone ha rivelato che il 37% delle donne in menopausa in terapia cronica con cortisone ha subito una o più fratture vertebrali. E un terzo dei pazienti va incontro a fratture dopo soli 5 anni di trattamento con una perdita di tessuto scheletrico direttamente proporzionale alla dose di farmaco. Tra 2,5 e 7,5 mg di prednisolone al giorno è la dose associata ad un rischio di frattura 2,5 volte superiore. Dosaggi di 10 mg per almeno 90 giorni fanno impennare il rischio da 7 a 17 volte».
I farmaci cortisonici sono utilizzati ubiquitariamente per il loro prezioso effetto antinfiammatorio in numerose condizioni come malattie reumatiche e artrite reumatoide, asma e allergie e malattie croniche infiammatorie dell’intestino come il Morbo di Chron, ma il loro effetto avverso è un declino della massa ossea pari a quello che si verifica nelle donne in post-menopausa. I cortisonici hanno effetti sia diretti che indiretti: ostacolano e compromettono la replicazione e la funzione degli osteoblasti e spingono alla morte osteoblasti e cellule mature in un meccanismo di suicidio cellulare noto con il termine apoptosi, una alterazione che compromette la formazione di osso nuovo e che provoca quindi il deficit.
Altri farmaci che causano osteoporosi
Oltre ai cortisonici, sono numerose le molecole capaci di interferire negativamente con il metabolismo dell’osso anche in giovane età:
- farmaci immunosoppressori (come la ciclosporina), usati nelle persone che hanno ricevuto un organo da trapianto,
- metotressato, utilizzato in numerose malattie reumatiche.
- analoghi del GnRH, usati nell’endometriosi e nel trattamento del cancro alla prostata: sopprimono la produzione di gonadotropine,
- inibitori delle aromatasi, usati nel carcinoma della mammella la cui azione è sopprimere la produzione extra-gonadica di estrogeni che normalmente avrebbero una azione protettiva sullo scheletro,
- farmaci anticonvulsivanti come la fentoina e i barbiturici riducono i livelli circolanti della 25 idrossivitamina D3, il precursore della forma attiva della vitamina D.
- eparine non frazionate, anticoagulanti usati in soggetti cardiopatici o con problemi di trombosi,
- tiroxina, ormone tiroideo usato come terapia sostitutiva dell’ipotiroidismo e nelle forme autoimmuni come la tiroidite di Hashimoto e soppressiva (ad alto dosaggio) nel cancro della tiroide dopo asportazione della tiroide. L’ormone tiroideo non è di per sé dannoso per l’osso, anzi in età pediatrica ha un ruolo fondamentale nel favorire l’accrescimento scheletrico. Tuttavia, l’ormone tiroideo ad alto dosaggio può causare perdita di massa ossea e aumentato rischio di fratture, soprattutto quelle vertebrali e soprattutto nelle donne in menopausa e nei maschi anziani. È rilevante il dato clinico che circa il 25% dei soggetti con ipotiroidismo in trattamento sostitutivo sono a rischio di un eccessivo trattamento con tiroxina e come tali a rischio di fratture,
- tiazolinedioni, molecole usate per il trattamento del diabete di tipo 2, che inducono un aumento della massa grassa e una diminuzione di quella ossea. La terapia a lungo termine (più di 12-18 mesi) con questi agenti aumenta di 4 volte il rischio di fratture anche nei maschi,
- inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina SSRI, molecole attive sul sistema nervoso per il trattamento della depressione, se somministrate a pazienti anziani, raddoppiano il rischio di fratture,
- antiretrovirali usati per il trattamento dell’HIV, causano perdita di osso aumentando e accelerando il riassorbimento del tessuto e causando fratture nel 40% delle donne e nel 70% degli uomini,
- inibitori di pompa protonica, «ampiamente utilizzati (e spesso abusati) per il trattamento delle patologie gastro-esofagee. Questi farmaci, sia con un meccanismo diretto sulle cellule ossee che indirettamente attraverso un malassorbimento di calcio, possono causare fragilità scheletrica con aumento del rischio di fratture» spiega Gherardo Mazziotti, segretario GIOSEG.
«Dobbiamo pensare alle persone in senso globale, pensando anche alla loro salute scheletrica presente e futura – precisa Andrea Giustina – Innanzitutto è fondamentale sfatare il mito che l’osteoporosi sia solo al femminile. Soprattutto quando si parla di osteoporosi secondarie è spesso il maschio ad avere la peggio ma pochi sono portati a considerare questo fatto nella pratica clinica. Va poi sottolineata l’importanza critica del cosiddetto esame morfometrico vertebrale nei pazienti con osteoporosi secondaria che possono andare incontro a fratture vertebrali anche con un quadro densitometrico osseo normale o poco alterato (comunemente chiamata osteopenìa). Spesso i pazienti soprattutto i maschi trattati per le loro malattie con farmaci osteopenizzanti non vengono sottoposti ad adeguato e periodico (ogni 12-18 mesi) monitoraggio della densità minerale ossea con l’esame MOC DEXA. Inoltre, anche le terapie protettive e preventive che pure esistono a base di calcio e di vitamina D e di farmaci antiriassorbitivi come i bifosfonati non sempre sono instaurate per tempo (cioè prima che il paziente si fratturi). Per alcuni farmaci ad alto impatto negativo scheletrico, quali i cortisonici e gli inibitori dell’aromatasi, le linee guida stabiliscono di intraprendere quanto prima un trattamento anti-osteoporotico di protezione per lo scheletro e di prevenzione delle fratture che in questi casi possono essere particolarmente precoci».
Farmaci osteopenizzanti in età pediatrica
Non esistono fasce di età protette dal danno scheletrico da farmaci.
Durante l’infanzia e l’adolescenza, lo scheletro immagazzina calcio per proteggersi dalle fratture in età geriatrica. Anche in età pediatrica può essere necessario ricorrere a terapie farmacologiche a base di cortisone in corso di patologie renali, respiratorie, gastrointestinali, artriti ad esordio giovanile e dopo il trapianto d’organo. L’utilizzo di terapie cortisoniche durante le prime decadi di vita ha effetti negativi sulla crescita e sulla salute dello scheletro condizionando un aumento sia presente sia futuro del rischio di frattura. L’uso di calcio e soprattutto di vitamina D iniziato contemporaneamente alla somministrazione di cortisone è considerato fondamentale nella prevenzione del danno osseo da cortisone nel bambino. Nei casi più gravi possono essere utilizzati i bifosfonati come nell’adulto. La terapia con ormone della crescita può trovare indicazione nel deficit di accrescimento collegato all’uso di cortisone, ormone chiave nella regolazione della produzione dell’ormone della crescita.
Gli esperti concludono che è necessario un maggiore dialogo tra specialisti che prescrivono farmaci potenzialmente osteopenizzanti e specialisti dedicati alla diagnosi e cura dell’osteoporosi.