Boehringer Ingelheim ed Eli Lilly and Company hanno annunciato che condurranno due studi clinici al fine di valutare il farmaco antidiabetico empagliflozin per il trattamento di pazienti con scompenso cardiaco cronico. I due studi clinici includeranno pazienti con scompenso cardiaco cronico sia con diabete di tipo 2 (T2D) sia non affetti da diabete.
Empagliflozin è stato il primo farmaco indicato nel trattamento del diabete ad aver dimostrato una riduzione del rischio di mortalità per eventi cardiovascolari in uno studio dedicato (studio EMPA-REG OUTCOME®). Questo è stato dimostrato in pazienti con diabete di tipo 2 (T2D) ad alto rischio di eventi cardiovascolari, in aggiunta alle terapie standard (inclusi agenti ipoglicemizzanti e farmaci per patologie cardiovascolari). Lo studio EMPA-REG OUTCOME ha anche dimostrato che empagliflozin, oltre a ridurre la mortalità per eventi cardiovascolari del 38%, ha ridotto il rischio di ricoveri per scompenso cardiaco del 35% nei pazienti con diabete di tipo 2 (T2D) ad alto rischio di eventi cardiovascolari. Questi risultati hanno condotto alla pianificazione di questi studi clinici.
«Lo studio EMPA-REG OUTCOME ha dimostrato che empagliflozin reduce il rischio di morte per eventi cardiovascolari in pazienti diabetici ad alto rischio di eventi cardiovascolari; adesso desideriamo valutare se empagliflozin può anche apportare dei benefici nello scompenso cardiaco» ha dichiarato Hans-Juergen Woerle, Global Vice President Medicine di Boehringer Ingelheim.
Empagliflozin
Empagliflozin è un inibitore del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2) orale, altamente selettivo, in monosomministrazione giornaliera, approvato in Europa, Stati Uniti e altri Paesi del mondo come terapia per adulti con diabete di tipo 2. Empagliflozin riduce la glicemia in soggetti con diabete di tipo 2, inibendo il riassorbimento renale del glucosio, con conseguente eliminazione del glucosio nelle urine. L’inibizione del co-trasportatore sodioglucosio di tipo 2 agisce indipendentemente dalla funzionalità delle cellule beta pancreatiche e dalle vie dell’insulina.
Empagliflozin non va assunto da pazienti con diabete di tipo 1 né come trattamento della chetoacidosi diabetica (aumento dei chetoni nel sangue o nelle urine).
Lo studio EMPA-REG OUTCOME
Lo studio a lungo termine, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, con gruppo di controllo a placebo, EMPA-REG OUTCOME è stato condotto su oltre 7.000 pazienti con diabete di tipo 2 ad alto rischio di eventi cardiovascolari di 42 Paesi. Lo studio ha valutato l’effetto di empagliflozin (10 mg o 25 mg una volta/die) aggiuntoa terapia standard, rispetto a placebo aggiunto a terapia standard.
L’endpoint primario predefinito è stato il tempo intercorso sino al verificarsi del primo fra i seguenti eventi: decesso per causa cardiovascolare o infarto del miocardio non-fatale o ictus non-fatale.
In un periodo mediano di osservazione di 3,1 anni, empagliflozin ha significativamente ridotto del 14% verso placebo il rischio di decesso per causa cardiovascolare o infarto non- fatale o ictus non-fatale.
La riduzione della mortalità cardiovascolare è stata del 38%, senza alcuna differenza significativa nel rischio di infarto non-fatale o ictus non-fatale.
Inoltre, la terapia con empagliflozin ha dimostrato una riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause del 32% e di ricovero per scompenso cardiaco del 35%.
Il profilo di sicurezza complessivo di empagliflozin è stato sovrapponibile a quello riscontrato in studi precedenti.
L’incidenza di chetoacidosi diabetica è stata pari o inferiore allo 0,1% e simile in tutti i gruppi in trattamento.
Lo scompenso cardiaco
Si ha scompenso cardiaco quando il cuore non riesce a pompare abbastanza sangue in circolo. È una condizione invalidante alla quale sono associate morbilità e mortalità significative. Lo scompenso cardiaco è una malattia diffusa: 26 milioni di persone nel mondo.
Lo scompenso cardiaco è prevalente in pazienti con diabete, tuttavia, circa 2/3 dei pazienti con questa patologia non hanno diabete.
«Una persona su due con scompenso cardiaco muore entro 5 anni dalla diagnosi, quindi c’è attualmente un bisogno urgente di una terapia efficace per i pazienti in questa condizione» ha detto il cardiologo Javed Butler, del Stony Brook University Hospital.
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