La terapia per l’ipotiroidismo è semplice e maneggevole: consiste nella somministrazione orale di levotiroxina sodica (T4), ma richiede cautele. Oltre alla corretta modalità di assunzione deve essere valutata la possibile interferenza con altri farmaci o con alimenti che possono alterare il corretto assorbimento dell’ormone.
Le alterazioni della secrezione acida gastrica ma anche radicate abitudini nutrizionali (come l’assunzione concomitante di caffè e di fibre) possono interferire negativamente con l’assorbimento della tiroxina.
La scarsa compliance porta ad aumentare le dosi.
«La presenza di malattie gastrointestinali, spesso occulte, (infezioni da H. pylori, gastriti atrofiche, malattia celiaca, intolleranza al lattosio, parassitosi intestinali) che interagiscono negativamente sull’assorbimento della tiroxina complicano ulteriormente le cose – sottolinea Marco Centanni, dell’Università Sapienza di Roma, direttore della UOC di Endocrinologia del polo di Latina – Da monitorare anche le interazioni con farmaci: antiacidi, inibitori di pompa protonica, alcuni neurolettici e antidepressivi interferiscono con il controllo della patologia specialmente in pazienti definiti difficili».
Tra questi ci sono «pazienti anziani con malattie concomitanti e in politerapia, ma anche donne in gravidanza e bambini, pazienti alimentati con sonda enterale, soggetti sottoposti a chirurgia bariatrica e con problemi di malassorbimento» spiega Andrea Giustina, ordinario di Endocrinologia all’Università di Brescia.
Formulazioni alternative
In alcuni pazienti, come quelli con storia di malattie cardiovascolari, la formulazione classica può causare complicazioni: dall’ischemia cardiaca ad aritmie e spasmi delle coronarie.
Negli ultimi anni, per far fronte a queste problematiche, la tiroxina è stata proposta in due nuove formulazioni:
- una in softgel, priva di lattosio e altri eccipienti,
- una liquida in cui il principio attivo è disciolto in etanolo e glicerolo.
Queste alternative si sono dimostrate utili ad aggirare alcuni fattori che contribuivano al mancato controllo della patologia o al rischio di somministrare dosi eccessive.
In altri pazienti la mancata efficacia è riconducibile a una mancata o ridotta conversione del pro ormone T4 alla forma attiva T3. Questa situazione interessa circa il 20% dei pazienti. In questi casi, l’utilizzo della T3 in associazione con la levotiroxina è una promettente prospettiva.
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