CT-P13, il biosimilare di infliximab per le MICI conferma sicurezza ed efficacia nello studio multicentrico italiano real life PROSIT-BIO.
Malattia di Crohn e colite ulcerosa affliggono in Europa 2,5-3 milioni di persone, di cui 200.000 in Italia. Ad oggi non esiste una cura risolutiva. I farmaci biologici anti-TNF hanno migliorato il decorso delle malattie, a fronte però di costi ingenti per il SSN. Nel nostro Paese, nel 2015, si sono superati i 115 milioni di euro.
Dal 2015 è disponibile il biosimilare di infliximab, che oggi incide per il 46% sull’impiego totale di questo farmaco biologico. Sempre più evidenze scientifiche ne dimostrano la sovrapponibilità al prodotto di riferimento. Le ultime arrivano dallo studio PROSIT-BIO, il più ampio finora ad aver valutato la sicurezza e l’efficacia di infliximab biosimilare. Lo studio ha coinvolto pazienti adulti e pediatrici con MICI, naïve oppure già trattati con l’originator o altri medicinali biotech.
L’ultima indagine della European Crohn’s Colitis Organization ha dimostrato una crescente fiducia della comunità medica verso i biosimilari.
Contenere la spesa pubblica assicurando a ogni paziente le cure più efficaci è una sfida per la sanità pubblica. Questa sfida coinvolge anche le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI). La loro incidenza e prevalenza nel mondo è aumentata di circa 20 volte negli ultimi 10 anni.
L’uso di farmaci biosimilari rappresenta un’opzione “cost-effective” e contribuisce alla sostenibilità del SSN senza rinunciare alla qualità delle terapie.
Lo studio PROSIT-BIO
Lo studio real life PROSIT-BIO ha coinvolto 31 centri italiani di riferimento per le MICI e 547 pazienti:
- 234 con colite ulcerosa,
- 313 con malattia di Crohn.
I pazienti arruolati (di cui 27 pediatrici) ai quali è stato somministrato il biosimilare di infliximab erano:
- 311 naïve ai farmaci biotech,
- 139 già esposti in precedenza alla terapia con anti-TNF (sospesa da oltre 6 mesi)
- 97 sottoposti alla sostituzione di infliximab originator con il biosimilare (switch).
Lo studio è stato condotto in condizioni di pratica clinica quotidiana tra il 2015 e il 2016.
I dati dello studio PROSIT-BIO sono stati pubblicati sulla rivista Inflammatory Bowel Diseases.
«Obiettivo principale dello studio – spiega Flavio Caprioli, ricercatore universitario in Gastroenterologia presso l’Università degli Studi di Milano e gastroenterologo presso la Fondazione IRCCS Ospedale Policlinico di Milano – era verificare la sicurezza del trattamento con CT-P13 nei malati di MICI. L’efficacia del farmaco, misurata attraverso la percentuale di pazienti con fallimento primario alla terapia, perdita di risposta o interruzione della cura, è stata valutata come obiettivo secondario».
I risultati dello studio PROSIT-BIO
Nello studio è stato registrato un elevato profilo di sicurezza ed efficacia sia nei soggetti nuovi al trattamento con un biologico, sia in quelli già esposti ad altri anticorpi monoclonali.
Lo studio ha così dimostrato la sostanziale sovrapponibilità tra infliximab originator e il suo biosimilare.
«I risultati hanno confermato la sicurezza di CT-P13 sia nei soggetti naïve che in quelli sottoposti allo switch elettivo a biosimilare: l’incidenza di effetti collaterali, principalmente reazioni infusionali e manifestazioni cutanee, è risultata comparabile (7,4% nei naïve e 12,4% nello switch) e simile a quanto riportato in letteratura per l’originator. I dati – continua Caprioli – hanno inoltre dimostrato che anche l’efficacia del biosimilare di infliximab è comparabile a quella del prodotto di riferimento: si è osservato un tasso di fallimento primario al farmaco del 10% nei pazienti naïve, dell’11% in quelli precedentemente esposti ad anti-TNF e in nessun soggetto sottoposto a switch».
«Nel complesso – conclude Caprioli – i risultati del PROSIT-BIO, ad oggi la coorte numericamente più rilevante di soggetti con MICI trattati con la molecola CT-P13, confermano l’elevata sicurezza ed efficacia del biosimilare sia nei pazienti naïve sia in quelli sottoposti a switch elettivo da infliximab originator, e sono del tutto comparabili con i dati esistenti in letteratura per il biologico di riferimento. Questi risultati, in associazione ad altri studi osservazionali e a studi randomizzati di switch pubblicati e in corso, come il NOR-SWITCH, potranno condurre a una sempre maggiore fiducia verso il trattamento con i biosimilari in pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche dell’intestino».
Malattie infiammatorie intestinali (MICI) e medicinali biotech anti-TNF
Le malattie infiammatorie intestinali sono patologie immuno-mediate con un decorso cronico o ricorrente, che alterna periodi di latenza a fasi di riacutizzazione, compromettendo gravemente la qualità di vita.
Si calcola colpiscano 2,5-3 milioni di europei, di cui 200.000 in Italia, con un trend in continua crescita e un esordio in età giovanile, fra i 15 e i 30 anni. La terapia farmacologica ha l’obiettivo di indurre la remissione, evitando la ricomparsa dei sintomi e la progressione della malattia verso complicanze che richiedono il ricorso alla chirurgia. Nonostante gli indubbi benefici sui pazienti, i medicinali biotech anti-TNF oggi vengono somministrati a non più di 12-15.000 italiani, anche a causa dei loro considerevoli costi: nel 2015 la spesa per il SSN ha superato i 115 milioni di euro.
«Negli ultimi 15 anni, la terapia delle MICI è stata rivoluzionata dall’entrata in prontuario dei farmaci biologici, anticorpi monoclonali che bloccano specifiche molecole responsabili dell’infiammazione intestinale – dichiara Gionata Fiorino, gastroenterologo e medico ricercatore presso il Centro per la Ricerca e la Cura delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali di Humanitas. – Purtroppo queste terapie comportano costi elevati dovuti alla ricerca, allo sviluppo e alla produzione su larga scala. Scaduto il brevetto di infliximab, primo anticorpo monoclonale introdotto per le MICI, EMA ha approvato CT-P13, il suo biosimilare: dal punto di vista farmacologico è equivalente all’originator ma, essendo prodotto da cellule viventi, ha una struttura molecolare che può variare leggermente, senza tuttavia alterare il profilo di efficacia, sicurezza ed immunogenicità».
L’introduzione del biosimilare nel trattamento delle MICI
«Se all’inizio i clinici hanno avuto un atteggiamento cauto, interrogandosi sull’effettiva equivalenza tra biosimilare e originator – continua Fiorino – questa percezione col tempo si è capovolta, quando CT-P13 è entrato nella pratica clinica e gli specialisti hanno cominciato a fare esperienza sul campo. I vari studi tuttora in corso o pubblicati di recente, come PROSIT-BIO, hanno avvalorato la totale equivalenza in termini di efficacia, sicurezza e immunogenicità, convincendo la comunità dei gastroenterologi».
«Lo dimostrano le due web survey condotte da ECCO (European Crohn’s Colitis Organization) su medici esperti di MICI e prescrittori di terapia biologica: se, nel 2013, solo il 12,6% si sentiva molto o del tutto a proprio agio nell’utilizzo dei biosimilari e il 6% li riteneva intercambiabili con il farmaco di riferimento, nel 2015 le percentuali sono salite rispettivamente al 46,6% e al 44,4% – aggiunge Gionata Fiorino. – Nel 2016 anche ECCO ha aggiornato la propria posizione, in un nuovo Position Paper che elimina ogni timore residuo sull’uso dei biosimilari nelle MICI, sia per i pazienti naïve sia per chi è già in trattamento con originator, quando la loro bioequivalenza è garantita da EMA».
L’uso attuale di CT-P13
«Dalla sua introduzione in Italia, nel 2015, il biosimilare di infliximab è stato somministrato su oltre 3.000 pazienti con malattia di Crohn, colite ulcerosa, artrite reumatoide, spondilite anchilosante, psoriasi e artrite psoriasica – spiega Marco Filippini, general manager di Mundipharma Italia e vice coordinatore del Gruppo Italiano Biosimilari (IBG). – Il suo utilizzo sta costantemente crescendo, segno di una sempre più ampia fiducia della comunità medica verso i biosimilari, a seguito anche delle evidenze positive emerse nella pratica clinica e negli studi come PROSIT-BIO. Nel nostro Paese, rispetto al numero totale di fiale impiegate di infliximab, il ricorso al prodotto biosimilare rappresenta ormai il 46% e in alcune Regioni (come Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta, Toscana ed Emilia Romagna) la sua quota di mercato ha superato quella dell’originator (fonte dati: IMS IMFO, novembre 2016)».
«Grazie ai risparmi che in questo modo si possono generare – conclude Marco Filippini – i biosimilari rappresentano uno strumento importante per allargare l’accesso dei pazienti ai farmaci biologici, coniugando qualità e sostenibilità del Servizio Sanitario».
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