Gli antibiotici sono farmaci in grado di uccidere i batteri o di rallentarne la proliferazione. La resistenza agli antibiotici è un processo di selezione causato da mutazioni che consentono ai batteri di sopravvivere e moltiplicarsi in presenza di questi farmaci. L’uso eccessivo e improprio degli antibiotici favorisce la proliferazione delle popolazioni resistenti che arrivano così a prendere il sopravvento. La crescente resistenza antimicrobica riduce quindi le possibilità di prevenire e trattare un’ampia gamma di infezioni.
Oggi le resistenze batteriche rappresentano una grande emergenza sanitaria perché favoriscono il ritorno di malattie infettive che si pensavano sconfitte o sotto controllo.
Secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS):
- 700.000 decessi all’anno nel mondo sono dovuti alle infezioni resistenti,
- in Europa, si verificano annualmente 4 milioni di infezioni da germi antibiotico-resistenti che causano 25.000 decessi,
- se gli attuali tassi di incremento delle antibioticoresistenze non saranno invertiti, da qui al 2050 i “superbug” saranno responsabili di almeno 10 milioni di decessi annui,
- Il numero maggiore di decessi si registrerà in Africa e in Asia.
In questo scenario, interventi banali come l’estrazione di un dente o un’operazione di appendicite metterebbero a rischio la vita. Anche alcune terapie fondamentali, come quelle per il trattamento dei tumori, potrebbero esporre i pazienti al rischio d’infezioni che non saremmo più in grado di trattare.
Negli ospedali dell’UE, fino al 50% degli antibiotici vengono usati senza necessità o in modo inappropriato. In Europa, il consumo di antibiotici specifici per il trattamento delle infezioni multiresistenti è raddoppiato nel periodo compreso tra il 2010 e il 2014.
L’Italia è uno dei Paesi dove si registra il maggior consumo di antibiotici (27,8 dosi ogni 1000 abitanti al giorno). È anche uno dei Paesi nei quali la resistenza agli antibiotici si mantiene tra le più elevate in Europa e quasi sempre al di sopra della media europea. Le Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) colpiscono ogni anno circa 284.100 pazienti italiani causando circa 4500-7000 decessi.
«La reazione italiana al problema dell’antibioticoresistenza si è svolta inizialmente a livello di singole regioni, soltanto recentemente e piuttosto tardivamente – spiega Claudio Viscoli, pesidente Società Italiana di Terapia Antinfettiva (SITA), direttore Clinica Malattie Infettive Università degli Studi di Genova IRCCS San Martino (IST). – Il Ministero della Salute ha incaricato un gruppo di esperti, di cui purtroppo faceva parte un solo infettivologo clinico, che ha prodotto un documento di linee-guida. L’Italia è stata ufficialmente richiamata dal Centro Europeo per il Controllo delle malattie che ha contestato al nostro Paese un impegno non adeguato per contrastare le resistenze antibiotiche».
«In Italia il problema più importante è rappresentato dalla Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi, ma in Europa siamo maglia nera anche per altri microrganismi, come per esempio Pseudomonas aeruginosa, per il quale avremmo un nuovo farmaco che, sfortunatamente, AIFA non ci lascia usare per questa indicazione, nonostante richieste ufficiali e documentate. Ovviamente il problema non è soltanto italiano. La diminuzione di efficacia degli antibiotici è un fenomeno globale, pesantissimo in Paesi come India e Cina, ma non risparmia praticamente alcun Paese con un gradiente che si sposta dall’est e sud del mondo verso l’ovest e il nord» – continua Claudio Viscoli.
«Le persone veramente a rischio sono quelle con malattie gravemente defedanti, che riducono fortemente le difese contro le infezioni, specialmente se ricoverati in Ospedale o Residenze Sanitarie Assistite. Finché siamo in grado di difenderci, questi microrganismi resistenti, o parzialmente resistenti, non procurano danni, anche se entrano a far parte della nostra flora batterica endogena intestinale (cosa che comunque non vorremmo). Ma se veniamo ricoverati, se abbiamo bisogno di cure che riducono le difese immunitarie, di importanti interventi di chirurgia o di trapianti, allora i batteri resistenti diventano un rischio tale da mettere in dubbio, in un futuro non lontano, la stessa possibilità di continuare a eseguire queste procedure così invasive, così moderne ma anche così pericolose sotto certi aspetti» – aggiunge Claudio Viscoli.
Principali infezioni da batteri resistenti agli antibiotici
I batteri possono essere suddivisi in due gruppi in base al metodo di Gram che non evidenzia relazioni filogenetiche, ma differenzia la struttura della parete e la conseguente capacità di adattamento.
I batteri Gram-positivi risultano blu o viola dopo la colorazione di Gram. Infatti trattengono la colorazione del cristalvioletto nello strato di peptidoglicano localizzato sulla faccia esterna della parete.
I batteri Gram-negativi invece non trattengono la colorazione del cristalvioletto perché il peptidoglicano costituisce uno strato più sottile localizzato tra due membrane cellulari. I Gram-negativi hanno una parete cellulare nel complesso più spessa e sono dotati di elevata capacità di adattamento.
I patogeni Gram-negativi sono responsabili delle più comuni infezioni intra-addominali, del tratto urinario e respiratorie nosocomiali o contratte in ospedale.
I ceppi patogeni di Klebsiella Pneumoniae, Escherichia coli e Pseudomonas aeruginosa rappresentano il 70% di tutti i patogeni Gram-negativi che causano infezioni intra-ospedaliere. In particolare, gli enterobatteri resistenti ai carbapenemi, tra i quali ceppi di Klebsiella pneumoniae e di Escherichia coli, sono i più difficili da trattare perché sono resistenti anche a quasi tutti gli altri antibiotici disponibili e riescono a diffondersi molto rapidamente negli ambienti ospedalieri.
Infezioni da Klebsiella pneumoniae
La Klebsiella pneumoniae può causare polmoniti, infezioni del sangue e del tratto urinario. È il principale responsabile delle infezioni nelle strutture sanitarie.
Uno studio Europeo pubblicato su Lancet Infectious Diseases ha stimato che in Italia 6 pazienti ogni 10.000 ricoveri hanno un’infezione da Klebsiella resistente, contro una media europea di 1,3 pazienti.
La percentuale di casi di infezioni resistenti alle cefalosporine di terza generazione è piuttosto alta in Europa e si attesta attorno al 30,3%. I valori in Europa oscillano tra lo 0% in Islanda e il 75% in Bulgaria. L’Italia registra valori decisamente elevati (55,9%). Klebsiella inoltre è diventata resistente anche ai carbapenemi, ossia la classe di antibiotici di solo uso ospedaliero che fino a ora ha rappresentato il caposaldo per la terapia delle infezioni più gravi.
L’Italia insieme alla Grecia è il paese europeo con una presenza endemica di Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi. In Italia la resistenza ai carbapenemi nella K.
pneumoniae è aumentata in modo vertiginoso passando dall’1% nel 2008 al 33,5% nel 2015 (Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza 2017 – 2020).
Nel nostro Paese Klebsiella pneumoniae carbapenemasi produttrice è ormai diventato in oltre il 50% dei casi resistente a tutti gli antibiotici compresi i carbapenemi. È quindi considerato un super batterio killer.
Infezioni da Pseudomonas aeruginosa
Lo Pseudomonas aeruginosa è un batterio che può causare di infezioni del tratto urinario, dei polmoni e del sangue. Si sviluppa principalmente nei pazienti ospedalizzati
ed è molto difficile da controllare e arginare.
È stata evidenziata una resistenza in particolare alla piperacillina-tazobactam (18,1%) e ai fluorochinoloni (19,3%). La percentuale di infezioni resistenti alla piperacillina-tazobactam oscilla dallo 0% dell’Islanda al 59% della Romania. In Italia si registra
un 29,5%. Scenario di poco diverso per la resistenza ai fluorochinoloni per il quale si passa dallo 0% dell’Estonia al 62% della Romania. L’Italia registra un valore mediamente basso (24,6%).
Infezioni da Escherichia coli
L’Escherichia coli è normalmente presente nell’intestino ma è anche la causa di infezioni batteriche molto frequenti come quelle del tratto urinario e del torrente circolatorio. Più del 50% dei casi di E. coli sono risultati resistenti ad almeno un gruppo di antimicrobici sotto sorveglianza. È stata evidenziata una resistenza in particolare all’aminopenicillina
(57,2%), ai fluorochinoloni (22,8%) e alle cefalosporine di terza generazione (13,1%) sia assunti singolarmente che in combinazione con altri gruppi di antimicrobici.
In Europa, la percentuale di infezioni resistenti ai fluorochinoloni subisce delle sensibili variazioni e oscilla tra il 6,8% in Islanda e il 45,5% a Cipro. In Italia si registrano valori ampiamente sopra la media (circa 44,4%). Stessa situazione rispetto all’aminopenicillina in cui i casi di resistenza variano dal 34,1% della Svezia fino ad arrivare al 73% della Romania. Anche in questo caso in Italia si registrano valori molto alti: ben il 67,4% delle infezioni da E. coli è resistente all’aminopenicillina.
Nel caso delle cefalosporine di terza generazione i valori oscillano dall’1,7% dell’Islanda al 38,5% della Bulgaria. L’Italia registra un valore del 30,1%, ancora una volta superiore alla media europea.
Infezioni da Streptococcus pneumoniae
Lo Streptococcus pneumoniae è molto comune specialmente nei bambini non vaccinati ed è la causa più frequente di polmonite, morbilità e mortalità.
La percentuale di ceppi resistenti alla penicillina variano dallo 0,6% del Belgio al 39% della Romania. In Italia il valore è del 12,3%. Nel caso della resistenza ai macrolidi, lo scenario è simile: si passa dallo 0% del Lussemburgo al 40% di Malta con l’Italia al 24,5%.
Infezioni da Staphylococcus aureus
Lo Staphylococcus aureus è un batterio che colonizza frequentemente le cavità nasali e la pelle.
I ceppi resistenti alla meticillina (MRSA) sono la causa principale delle infezioni antibiotico resistenti associate all’ambiente ospedaliero. La percentuale di questi ceppi resistenti varia dallo 0% dell’Islanda al 57,2% della Romania.
In Italia la percentuale di MRSA rimane ancora decisamente superiore alla media del 16,8% e arriva al 34,1%. Le persone che contraggono un’infezione da MRSA hanno il 64% in più di probabilità di morire rispetto a chi non ne è affetto. (Antimicrobic resistance factsheet, World Health Organization).
Infezioni da Acinetobacter
Acinetobacter spp. comprende specie per la maggior parte bassa patogenicità. Acinetobacter baumanii è responsabile di polmoniti nosocomiali, di infezioni del flusso circolatorio e del tratto urinario e di altre infezioni dovute alla presenza di ferite profonde.
La percentuale di resistenza ai fluorochinoloni oscilla tra lo 0% del Belgio e il 94,9% della Grecia. L’Italia registra un valore molto alto (81,6%). Anche nella resistenza agli aminoglicosidi i valori sono alti ma variano sensibilmente da Paese a Paese passando dallo 0% del Belgio al 90,4% della Lituania.
L’Italia ancora una volta presenta una percentuale molto alta di infezioni resistenti (74,7%). Per quanto riguarda i carbapenemi, la percentuale di resistenza varia dallo 0% del Belgio al 93,5% della Grecia, con l’Italia che si attesta attorno al 78,3%.
Infezioni da Enterococcus
I batteri enterococcici sono normalmente presenti nel tratto gastrointestinale di uomini e animali. La maggior parte delle infezioni sono causate dall’Enterococcus faecalis, resistente soprattutto alla gentamicina (31,3% dei casi) e dall’Enterococcus faecium, resistente in particolare alla vancomicina (8,3% dei casi).
Nel caso dell’E. faecalis la resistenza varia in Europa dall’8,6% di Cipro fino ad arrivare al 49,1% della Slovacchia. In Italia il valore è sopra la media (47,8%). Riguardo all’E. faecium, la percentuale di resistenza oscilla tra lo 0% dell’Estonia e il 45,8% dell’Irlanda.
L’Italia è leggermente sopra la media (11,2%).
(Fonte principale: Antimicrobial resistance surveillance in Europe 2015, European Centre for Disease Prevention and Control).
I costi delle infezioni da batteri resistenti agli antibiotici
In Europa, ogni anno i costi extrasanitari e quelli legati alla perdita di produttività associati alle infezioni multiresistenti ammontano a circa 1,5 miliardi di Euro. Nei Paesi OCSE si stima che ogni paziente costi al sistema sanitario tra i 10.000 e i 40.000 dollari l’anno. Si stima che da qui al 2050 l’impatto complessivo delle infezioni multiresistenti sul PIL nei Paesi OCSE sarà di circa 2,9 trilioni di dollari.
Le terapie antibiotiche
Da quando gli antibiotici sono stati resi disponibili su larga scala (circa 70 anni fa), la pratica della Medicina e la terapia delle Malattie Infettive sono state rivoluzionate ed è cambiato il corso della civiltà. Questi farmaci hanno infatti permesso di sconfiggere infezioni drammatiche causate da microrganismi che flagellavano da sempre l’umanità, mietendo milioni di vittime.
Negli ultimi 30 anni il trend delle richieste di approvazione di nuovi antibiotici è diminuito costantemente. Negli Anni ’80 sono stati registrati 16 nuovi antibiotici, negli Anni ’90 soltanto 10; tra il 2003 e il 2007 ne sono stati registrati 5 e tra il 2008 e il 2012 solamente 2. Negli ultimi anni, anche grazie agli incentivi dei Governi, sono ripresi gli investimenti delle aziende farmaceutiche e nuovi antibiotici sono stati messi in commercio.
«Forse non saremmo arrivati a questo punto se la ricerca e l’industria farmaceutica avessero continuato a produrre nuovi antibiotici per tamponare lo sviluppo di resistenze come hanno fatto fino alla fine del secolo scorso. – spiega Claudio Viscoli – In realtà, negli ultimi 20 anni la ricerca nel campo degli antibiotici è molto diminuita ed è progressivamente calato il numero delle nuove molecole registrate. Bisogna incoraggiare in ogni modo la ricerca nel campo delle sostanze antimicrobiche e questo lo hanno fatto sia l’Unione Europea, sia gli Stati Uniti e in effetti negli ultimi tempi alcune nuove molecole si sono rese disponibili».
Classificazione degli antibiotici
Gli antibiotici vengono suddivisi in diverse famiglie, o classi, in base alla loro azione o alla loro struttura chimica; la maggior parte di essi è di origine naturale, ovvero prodotti da materia vivente, alcuni sono di origine sintetica, ovvero prodotti industrialmente, o semi-sintetica, quando la sostanza naturale viene modificata in laboratorio.
Le più importanti famiglie di antibiotici sono:
- i beta-lattamici, che comprendono le penicilline e le cefalosporine;
- le tetracicline, la cui storia inizia attorno al 1947 con la scoperta della clortetraciclina (Aureomicina) nelle colture di Streptomyces aureofaciens;
- gli amminoglicosidi, di cui fanno parte le streptomicine scoperte dal russo Selman Abraham Waksman, Premio Nobel per la Medicina nel 1952, che le isolò dallo Streptomyces griseus;
- le polimixine, gruppo di antibiotici prodotti da colture di Bacillus polymixa. Comprendono la plimixina E o colistina, farmaco a elevata nefrotossicità, ma efficace, soprattutto in combinazione, sulla maggior parte di Gram-negativi resistenti ai carbapenemi o multiresistenti;
- gli oxazolidinoni (o ossazolidinoni), antibiotici chemioterapici, ottenuti per sintesi chimica;
- i fluorochinoloni di origine sintetica, la cui scoperta risale agli anni ’50;
- i macrolidi, tutti di origine naturale, che includono molecole ampiamente utilizzate nella pratica clinica come eritromicina, spiramicina e azitromicina;
- i carbapenemi, antibiotici ad ampio spettro d’azione, utilizzati esclusivamente in ospedale per il trattamento delle infezioni difficili.
Le nuove molecole antibiotiche
Dopo anni di stasi le aziende farmaceutiche sono tornate a investire in questa area terapeutica.
Alcune nuove molecole si sono già rese disponibili, altre lo saranno prossimamente. In Italia recentemente sono stati autorizzati due nuovi farmaci, attivi contro i microorganismi sia Gram-negativi sia Gram-positivi. Queste terapie consentiranno una cura più appropriata di importanti infezioni causate da superbatteri resistenti agli antibiotici.
Già in commercio in Italia ci sono:
Tedizolid, un nuovo oxazolidinone indicato per il trattamento delle infezioni batteriche acute della cute e dei tessuti molli sostenute da patogeni Gram-positivi, compresi quelli resistenti ad altri antibiotici. Offre alcune importanti vantaggi nella terapia delle infezioni da MRSA,
Ceftolozane/tazobactam, una nuova cefalosporina associata ad un inibitore delle beta-lattamasi, per le infezioni da Gram-negativi, con una importante attività nei confronti di Pseudomonas e anche di Enterobatteri produttori di ESBL. Il farmaco è indicato per il trattamento delle infezioni complicate intra-addominali e delle vie urinarie sostenute da patogeni Gram-negativi multiresistenti.
L’associazione ceftazidime/avibactam è disponibile in Italia dal 21 febbraio 2018. Si tratta di una cefalosporina di terza generazione (ceftazidime), anch’essa associata a un nuovo inibitore delle beta-lattamasi, avibactam, indicato per il trattamento delle infezioni complicate intra-addominali e le infezioni urinarie complicate sostenute dei batteri Gram-negativi difficili.
Problematiche connesse agli aspetti regolatori delle nuove terapie antibiotiche
«L’intervallo tra l’approvazione dei nuovi farmaci da parte di EMA, il lungo corso in Italia per l’approvazione da parte di AIFA e per stabilire i prezzi e l’effettiva messa a disposizione del paziente italiano del nuovo antibiotico, è molto lungo e pone problemi ai medici, che si occupano di malattie infettive, e, ovviamente, anche ai pazienti. In altri Paesi europei questo succede di meno. Inoltre, i nuovi farmaci vengono spesso autorizzati con indicazioni restrittive» – continua Claudio Viscoli.
A questo proposito, Matteo Bassetti, Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine e Università di Udine, vice-presidente SITA, spiega:
«Le nuove opzioni terapeutiche sono sicuramente interessanti e, in particolare, abbiamo due nuovi antibiotici per le infezioni da Gram-negativi: ceftolozane/tazobactam, e ceftazidime/avibactam. Anche per i Gram-positivi abbiamo nuovi antibiotici tra cui il più recente per approvazione è rappresentato dal tedizolid. Purtroppo, anche se abbiamo nuovi antibiotici molto validi, ci confrontiamo con i problemi regolatori: questi antibiotici di cui abbiamo un grande bisogno per alcuni tipi di infezioni, ad esempio nelle polmoniti o nelle infezioni del torrente ematico, vengono approvati nel nostro Paese in indicazioni diverse da quelle di cui necessitiamo».
Perché? Perché gli enti regolatori (FDA, EMA ecc.) che regolano la ricerca, hanno preferito grandi studi per indicazione sindromica, tipo grande studio per le infezioni urinarie, senza considerare che oggi abbiamo necessità di questi antibiotici non per sindromi ma per germe. Infatti, prescriviamo questi antibiotici quando c’è il sospetto di Pseudomonas o di KPC e quindi succede che noi usiamo questi antibiotici spesso off label, cioè fuori indicazione. È questo oggi il paradosso. Se ho un paziente per il quale sospetto un’infezione da Pseudomonas resistente a tutti gli antibiotici, l’ultimo antibiotico più potente che ho (ceftolozane/tazobactam) non lo posso usare perché non è registrato per Pseudomonas ma è registrato per le infezioni urinarie» – conclude Bassetti.
Meccanismo d’azione degli antibiotici
Gli antibiotici agiscono in modo mirato su bersagli specifici della cellula batterica. Alcuni antibiotici possono colpire la parete cellulare o la membrana cellulare plasmatica del batterio; altri interferiscono con il metabolismo energetico, con la sintesi degli acidi nucleici, oppure con la sintesi proteica.
Ciascuna famiglia di antibiotici ha uno spettro d’azione costituito da quei batteri su cui il farmaco è attivo. Anche se esistono antibiotici ad ampio spettro (in grado di eliminare molti tipi di batteri), nessun antibiotico è attivo contro tutti i batteri. Conoscere lo spettro d’azione dell’antibiotico è quindi fondamentale affinché la terapia sia effettivamente mirata ed efficace.
Accorgimenti per l’uso delle nuove terapie antibiotiche
«Indubbiamente i nuovi antibiotici andranno usati con grande cautela, per non perderne rapidamente l’efficacia, ma devono anche arrivare il prima possibile, minimizzando i ritardi dovuti alle lunghe negoziazioni tra AIFA e le aziende farmaceutiche» – avverte Claudio Viscoli.
«Per quanto riguarda l’appropriatezza, secondo le norme AIFA le nuove molecole devono essere prescritte soltanto dagli specialisti infettivologi, ma questo può essere un ostacolo perché gli infettivologi non sono presenti in tutti gli ospedali. Sarebbe auspicabile istituire un sistema di consulenza da parte degli infettivologi dei grandi ospedali a beneficio degli ospedali di più piccole dimensioni (“hub & spoke”) e di quelli dove non è prevista la figura dell’infettivologo. Consulenza che, in alcuni casi, potrebbe avvenire anche solo per via telematica. In ogni caso devono essere studiati dei sistemi che consentano agli esperti e specialisti del settore di intervenire un po’ più capillarmente di come avviene adesso.» – suggerisce Viscoli.
«Esiste poi un gap tra medici d’ospedale e medici del territorio che rende critica la continuità assistenziale. Per ciò che riguarda la terapia antibiotica, penso che in ospedale si debbano rivedere i criteri di durata delle terapie e dimettere possibilmente i pazienti senza terapia antibiotica, con eccezione, ovviamente, dei casi, rari ma esistenti, di infezioni che richiedono terapie molto prolungate. In generale, i dati scientifici dimostrano che molte malattie infettive batteriche potrebbero essere trattate per meno giorni di quanto si pensasse in passato. Di fatto, ci si sta accorgendo che è maggiore il danno collaterale di dare antibiotici più a lungo inutilmente, rispetto al rischio di darne troppo pochi.» – conclude Claudo Viscoli.
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