Le poliartriti croniche sono patologie infiammatorie che rientrano nella più vasta categoria delle malattie reumatiche, un gruppo di oltre 150 malattie che nel nostro Paese affliggono più di cinque milioni di persone. Di queste, le poliartriti croniche colpiscono circa 1,5 milioni di persone e hanno caratteristiche, cause e sintomi diversi, ma sono accomunate dalla prevalenza nel genere femminile, con età di esordio giovanile.
Le malattie reumatiche autoimmuni
Le malattie reumatiche autoimmuni si dividono, dal punto di vista clinico, in:
- poliartriti croniche (come l’artrite reumatoide, l’artrite psoriasica e la spondiloartrite),
- connettiviti (come il lupus eritematoso sistemico, la sindrome di Sjogren e la sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi).
L’età media di insorgenza varia dall’età pediatrica all’età geriatrica tuttavia, focalizzandoci sulle poliartriti croniche, l’età di esordio si concentra maggiormente tra i 30 e i 50 anni con una prevalenza, in generale, nel sesso femminile rispetto a quello maschile. Il rapporto di prevalenza donna-uomo varia a seconda della specifica tipologia di malattia, può essere ad esempio di circa 3 a 1 per l’artrite reumatoide, ma per altre patologie può raggiungere il rapporto di 4 a 1.
«Non è semplice individuare un dato di prevalenza nel nostro Paese, sia per il numero di patologie categorizzate come malattie reumatiche sia per le differenze nella metodologia di rilevamento – spiega Florenzo Iannone, professore di Reumatologia, Scuola di Medicina Università degli Studi di Bari. – Possiamo dire che, a livello aggregato, i casi di poliartriti croniche in Italia si aggirano intorno a 1 milione e mezzo che comprendono i circa 500.000 pazienti affetti da artrite reumatoide, i 650.000 affetti da artrite psoriasica e i 150.000 colpiti da spondilite anchilosante, mentre non abbiamo stime certe sulle spondiloartriti nelle forme cosiddette non radiografiche».
Le poliartriti croniche coinvolgono generalmente le articolazioni, a volte in maniera silenziosa e subdola, e possono cambiare l’aspetto fisico in modo evidente, rendendo più difficili i rapporti interpersonali e con ripercussioni importanti sul piano affettivo e sociale, specie per l’universo femminile. Ad aggravare il quadro vi è anche la paura di non vedere mai realizzato il proprio desiderio di maternità. Le donne affette da una poliartrite cronica, infatti, si trovano spesso davanti a un bivio, combattute tra la possibilità di continuare le terapie mettendo a rischio la salute del proprio bambino, oppure di sospenderle con un alto rischio di riacutizzazione della malattia.
Poliartriti croniche e maternità: una possibilità da scartare?
Non esistono dati aggiornati, ma le stime disponibili mostrano che circa il 30% delle pazienti affette da una di queste patologie non ha pianificato una gravidanza, forse anche a causa della mancanza di un approccio mirato e approfondito sulla tematica della pianificazione familiare da parte degli specialisti. In passato, infatti, si consigliava alle donne con malattie reumatiche di stare attente a non avere figli, ma oggi la situazione è molto diversa e le pazienti possono pensare di allargare la famiglia con più serenità grazie a farmaci biologici innovativi e a nuovi approcci di gestione della patologia.
«Abbiamo lavorato molto per cambiare rotta nell’approccio alle pazienti e offrire un counselling più mirato. Questo è stato possibile anche grazie all’arrivo di farmaci biologici sicuri sia prima del concepimento che durante la gestazione e che oggi ci consentono di tenere sotto controllo la malattia, ma anche di accompagnare le pazienti verso la maternità – commenta Angela Tincani, primario di Reumatologia all’Università degli Studi di Brescia e direttore UO Reumatologia ed Immunologia Clinica Spedali Civili di Brescia. – Le pazienti sono spesso timide riguardo a questo aspetto, ma è importante condividere con il proprio medico l’intenzione di pianificare una gravidanza sin dall’inizio del percorso di cura per permettere allo specialista di creare le condizioni migliori per la procreazione, scegliendo le terapie più appropriate».
Farmaci per le poliartriti croniche in gravidanza
La paura maggiore delle future mamme è infatti quella di mettere a rischio la salute del proprio bambino a causa dell’effetto teratogeno di alcuni farmaci che, se assunti durante la gestazione o più in generale durante l’età riproduttiva, possono portare alla comparsa di malformazioni.
I farmaci biologici, data la loro natura proteica, non possono avere questo temibile effetto; tuttavia, dato che sono dei potenti immunosoppressori, quello che si teme è che il loro passaggio transplacentare dalla mamma verso il bambino si associ a potenziali rischi di deficit del sistema immunitario del bambino.
«Certolizumab pegol è ad oggi il farmaco biologico più testato e sicuro per la donna in gravidanza, dal momento che diversi studi ne hanno assicurato l’efficacia in gravidanza e in allattamento mostrando un passaggio praticamente nullo del farmaco sia attraverso la placenta che nel latte materno. Il farmaco rappresenta quindi un’opzione terapeutica molto valida che minimizza i rischi dati da altre terapie biologiche che, al contrario, possono raggiungere il feto nell’ultima parte della gravidanza e potenzialmente causare effetti negativi sul bambino – spiega Angela Tincani. – Esistono comunque altri farmaci “tradizionali” che possono essere utilizzati in gravidanza con la sicurezza che deriva dall’esperienza di molti anni: tra questi l’idrossiclorochina o la ciclosporina A, così come i corticosteroidi a basse dosi e anche gli antinfiammatori non steroidei (non di ultima generazione), questi ultimi però evitando la somministrazione nel terzo trimestre. Inoltre, anche alcuni altri farmaci biologici inibitori del TNF-α (come certolizumab pegol) possono essere utilizzati in epoca pre-concezionale e nel primo trimestre di gravidanza, anche se non ci sono dati sufficienti a disposizione per confermarne la sicurezza per tutta la durata della gestazione».
I vantaggi di certolizumab pegol nella maternità
«Certolizumab pegol è un farmaco biologico, un anticorpo monoclonale che blocca l’attività della proteina responsabile dell’infiammazione presente nei pazienti affetti da artrite reumatoide, artrite psoriasica e spondiloartriti, ovvero il TNF-α. Questa molecola diventa quindi il bersaglio specifico del certolizumab pegol e, in questo senso, non differisce da altri farmaci anti-TNF» – continua Florenzo Iannone.
Certolizumab pegol è però diverso dagli altri trattamenti biologici per il fatto che è costituito solo dal frammento Fab’ dell’anticorpo che neutralizza il TNF alfa e risulta mancante del cosiddetto FC (frammento cristallizabile), la porzione che permette agli anticorpi materni di attraversare la placenta e raggiungere il feto. In generale, infatti, i farmaci biologici anti-TNF alfa, essendo anticorpi, hanno la possibilità di aderire alla placenta e di essere trasferiti nel feto. Questo non accade invece con certolizumab pegol poiché l’assenza del frammento FC non consente al farmaco di aderire alla placenta nel periodo di gestazione e di passare nel sangue fetale e ciò lo rende un farmaco sicuro per la donna durante la gravidanza. Inoltre, grazie al fatto che sia pegilato, è sicuro anche durante il periodo di allattamento al seno.
Il piano terapeutico con certolizumab pegol prevede un iniziale periodo di carico che dura circa un mese e mezzo e che consiste nella somministrazione sottocutanea di due fiale contenenti 200 mg di farmaco ciascuna al basale. Il periodo di carico è seguito da una dose somministrata a distanza di 2 e 4 settimane. Successivamente, il farmaco viene somministrato ogni due settimane.
«La terapia è sicura e non sono state evidenziate problematiche particolari, e grazie alle nuove specifiche dei farmaci sottocutanei si sono ridotte anche le possibili reazioni cutanee successive alla somministrazione – sottolinea Florenzo Iannone. – Si può dire, quindi, che il farmaco ha anche un buon profilo di tollerabilità».
Certolizumab pegol
Certolizumab pegol è un frammento Fab’ di un anticorpo umano che si lega a una specifica proteina chiamata fattore di necrosi tumorale α (TNFα) con effetto su alcune malattie infiammatorie di origine autoimmune.
Il TNFα è una citochina che media una vasta gamma di effetti biologici. Inizialmente noto per i suoi effetti citotossici, il TNFα è ora preso in considerazione per l’ampio spettro di bioattività che esercita e, in generale, per il ruolo di importante mediatore pro-infiammatorio, con capacità di indurre apoptosi, ovvero lo ‘spegnimento’ delle cellule, definita come Citotossicità Anticorpo Dipendente (ADCC). Le funzioni pro-infiammatorie del TNFα sono normalmente protettive, tuttavia, quando la produzione di TNFα è alterata e raggiunge livelli eccessivi, le citochine pro-infiammatorie possono portare a malattie infiammatorie croniche come l’artrite reumatoide, la spondiloartrite assiale, l’artrite psoriasica e la psoriasi a placche.
Il TNFα è quindi un importante bersaglio molecolare nel trattamento di queste patologie e l’inibizione di questa citochina mediante l’utilizzo di anticorpi anti- TNFα come certolizumab pegol ha dimostrato di avere un impatto clinico sui complessi processi responsabili delle infiammazioni croniche immuno-mediate.
Le terapie anti-TNFα vengono spesso sospese dopo il primo trimestre di gravidanza per limitare il trasferimento placentare del farmaco al feto. Questo passaggio è un processo attivo che avviene durante il secondo e il terzo trimestre di gravidanza ed è mediato dalla presenza del recettore del frammento cristallino neonatale (FcRn) a livello della placenta. La presenza della regione Fc nella struttura molecolare dei farmaci anti-TNF α ne consente il trasporto da parte del recettore FcRn attraverso la placenta. A differenza di altri farmaci anti-TNFα, certolizumab pegol è privo del frammento cristallizzabile (Fc) e l’assenza di questa porzione impedisce il suo trasferimento attivo attraverso la membrana placentare.
Indicazioni di certolizumab pegol
Certolizumab pegol è utilizzato negli adulti per il trattamento delle seguenti malattie infiammatorie:
- artrite reumatoide: in combinazione con metotrexato, è indicato per il trattamento dell’artrite reumatoide da moderata a grave nei pazienti adulti, quando la risposta ai farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARDs) risulti inadeguata. In combinazione con metotrexato, il farmaco può essere utilizzato anche per trattare l’artrite reumatoide grave, attiva e progressiva senza precedente uso di metotrexato o di altri medicinali. È stato dimostrato che certolizumab pegol riduce la velocità di progressione del danno articolare misurata dai raggi X e migliora la funzione fisica, quando somministrato in combinazione con metotrexato. Certolizumab pegol in combinazione con metotrexato ha dimostrato di ridurre i segni e i sintomi della malattia, di rallentare il danno alla cartilagine e all’osso delle articolazioni causato dalla malattia e di migliorare la funzione fisica e lo svolgimento delle attività quotidiane. Può essere somministrato in monoterapia in caso di intolleranza al metotrexato o quando un trattamento continuativo con metotrexato sia inappropriato;
- spondilite anchilosante e spondiloartrite assiale attive gravi: è utilizzato per trattare malattie infiammatorie della spina dorsale in forma attiva grave quali la spondilite anchilosante e la spondiloartrite assiale senza evidenza radiografica. In particolare, è indicato per il trattamento degli adulti con spondilite anchilosante attiva severa che hanno avuto una risposta inadeguata o sono intolleranti ai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) o per gli adulti con spondiloartrite assiale attiva grave senza evidenza radiografica ma con segni oggettivi di infiammazione da proteina C-reattiva (CRP) elevata e/o risonanza magnetica, che hanno avuto una risposta inadeguata o sono intolleranti ai FANS;
- artrite psoriasica attiva negli adulti, quando la risposta alla precedente terapia con farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARDs) è risultata inadeguata. Certolizumab pegol può essere somministrato in combinazione con metotrexato, ma può essere somministrato in monoterapia in caso di intolleranza al metotrexato o quando il trattamento continuato con quest’ultimo risulti inappropriato;
- psoriasi a placche da moderata a grave in pazienti adulti che sono candidati per la terapia sistemica.
La sicurezza e l’efficacia del farmaco nel ridurre l’attività di malattia è stata dimostrata in studi clinici su pazienti affetti dalle patologie sopra citate.
I nuovi dispositivi a iniezione elettronica
Un ulteriore aspetto rilevante e positivo è che il farmaco viene oggi somministrato mediante l’utilizzo di ava®, il primo e unico dispositivo a iniezione elettronica riutilizzabile con una serie di caratteristiche e funzionalità specifiche per il paziente, sviluppato proprio in collaborazione con i pazienti non solo per rendere più semplice l’auto-somministrazione del farmaco, ma anche per migliorare il controllo dell’aderenza alla terapia da parte dello specialista. Questo è infatti uno degli aspetti più problematici del percorso terapeutico che i medici si trovano a dover fronteggiare: soltanto un terzo dei pazienti dichiara una totale aderenza alla terapia mentre la restante parte ne trascura sia la conformità (cioè non segue correttamente la prescrizione dello specialista) sia la continuità e la persistenza per l’intera durata indicata dal medico.
«L’aderenza alla terapia è un aspetto fondamentale del percorso di cura dei pazienti e, senza di essa, non si può pensare di ottenere una risposta clinica ottimale. Quando un paziente non aderisce in modo adeguato alla terapia, non solo la sua qualità di vita non migliora, ma si rischia di modificare la strategia terapeutica in modo non appropriato, rendendo più difficile la valutazione dello specialista e la definizione del trattamento più adeguato alle esigenze del paziente, con evidenti costi a livello personale, sociale ed economico – spiega Florenzo Iannone. – L’utilizzo di un dispositivo come ava permette invece di stabilire in modo oggettivo l’aderenza terapeutica, la giusta esecuzione dell’iniezione e la regolarità della somministrazione del farmaco secondo la continuità prescritta dal medico. Infatti il dispositivo avverte la persona quando il farmaco deve essere somministrato. L’aderenza raggiunge quindi il 100% con risultati e indicazioni certe e reali per lo specialista».
«L’uso di ava comporta inoltre vantaggi notevoli anche per il paziente, che viene agevolato per tutta la durata del suo percorso terapeutico: il device è facile da usare, dà indicazioni chiare sulle modalità di somministrazione del farmaco, agevola la terapia offrendo un’esperienza per quanto possibile positiva e favorisce il corretto percorso terapeutico grazie alle notifiche delle successive somministrazioni» – conclude Iannone. – La donna, in generale, si fa da sempre carico delle necessità e delle cure di tutta la famiglia e molto spesso questo significa trascurare se stessa. Inoltre, nel caso delle donne in età fertile affette da malattie reumatiche, queste sono portate a pensare che la non aderenza alla terapia (cioè la sospensione dei farmaci prescritti) possa rendere più “facile” una possibile gravidanza, ma non è così. L’esistenza di un dispositivo come ava e soprattutto l’esistenza di un farmaco come certolizumab pegol oggi permettono di “riequilibrare” questa situazione, di ripristinare l’aderenza alla terapia con un vantaggio significativo per tutte le donne affette da queste patologie».
La campagna #anchiomamma
Le Associazioni nazionali di Pazienti reumatici ANMAR A(ssociazione Nazionale Malati Reumatici Onlus) e APMAR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare) in collaborazione con Onda (Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere) e con il contributo non condizionato di UCB Pharma hanno promosso progetti e iniziative sul territorio con l’obiettivo di informare e sensibilizzare la popolazione femminile sulle malattie reumatiche autoimmuni, guidarle e supportarle nella gestione quotidiana della malattia e vivere più serenamente la propria maternità.
#anchiomamma è la prima campagna social di informazione su malattie reumatiche e pianificazione familiare promossa da ANMAR e APMAR, che nasce per fornire informazioni, fare chiarezza sul percorso da seguire per diventare mamma pur vivendo con una malattia reumatica, favorire il dialogo medico-paziente e rendere le pazienti consapevoli della necessità di pianificare la gravidanza al momento giusto, condividendo un percorso con il reumatologo.
Sul portale www.anchiomamma.it si possono trovare approfondimenti, verificati e validati da un board multidisciplinare di medici, sui vari aspetti legati al diventare mamma: l’intimità, la pianificazione familiare, la gravidanza, il parto, la maternità.
Il progetto vive inoltre sulle pagine Facebook e Instagram, dove è possibile condividere informazioni, esperienze, aggiornamenti, opportunità.
«Conosciamo bene, purtroppo, l’enorme impatto fisico e psicologico di queste patologie sulle donne che ne sono affette ed è anche per questa ragione che abbiamo deciso di proseguire la preziosa collaborazione con le associazioni di pazienti nella realizzazione di un’iniziativa che dedica particolare attenzione alla salute riproduttiva e alla pianificazione familiare, tematiche complesse e molto sentite dalle giovani donne con malattia reumatica – spiega Francesca Merzagora, presidente di Fondazione Onda. – Guardare alle malattie reumatiche come malattie ‘al femminile’, adottando quindi un approccio di genere, è fondamentale per migliorare la diagnosi e permettere alle donne di programmare una vita familiare in tutta sicurezza».
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