Edoardo V. Savarino del consiglio direttivo della SIGE (Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva), associato del Dipartimento di Chirurgia, Oncologia e Gstroenterologia dell’Università di Padova, spiega che i benefici dei farmaci appartenenti alla classe degli inibitori di pompa protonica superano i rischi, anche nell’utilizzo cronico, se la prescrizione è appropriata.
«Gli inibitori di pompa protonica (proton pump inhibitors, PPI) sono tra i farmaci più utilizzati al mondo. Vengono largamente impiegati per il trattamento della malattia da reflusso gastroesofageo e, data la loro capacità di ridurre efficacemente la secrezione acida dello stomaco, vengono anche utilizzati in molte altre condizioni acido-correlate, come la terapia eradicante l’infezione da Helicobacter pylori, la prevenzione e guarigione dell’ulcera peptica, la gastroprotezione nei pazienti ad alto rischio che assumono aspirina, farmaci anti-infiammatori non-steroidei e anti-aggreganti. Inoltre, dati recenti suggeriscono che la terapia PPI ad alte dosi può ridurre la displasia e prevenire lo sviluppo dell’adenocarcinoma esofageo nei pazienti con esofago di Barrett.
Per la grande utilità dei PPI, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha inserito l’omeprazolo (il capostipite di questi farmaci) nell’elenco dei farmaci essenziali. Siccome la secrezione acida torna rapidamente (nell’arco di 12-24 ore) a livelli fisiologici dopo l’interruzione della terapia, i PPI sono spesso usati in cronico, in particolare nei pazienti con malattia da reflusso gastroesofageo e nella dispepsia acido-correlata, patologie che colpiscono più del 25% della popolazione mondiale (in Italia circa il 30%).
Visto l’ampio utilizzo di questa classe di farmaci, è importante assicurarsi che siano sicuri e fornire ai pazienti (e ai medici che li prescrivono) tutte le rassicurazioni al riguardo.
Di recente sono state sollevate preoccupazioni riguardo a un potenziale danno della terapia con PPI a lungo termine. Diversi studi osservazionali hanno infatti suggerito un’associazione tra i PPI e il rischio di polmonite, osteoporosi, infezioni intestinali, eventi cerebrovascolari, insufficienza renale cronica e demenza. Altri studi offrono tuttavia una visione più equilibrata circa i pro e dei contro dell’utilizzo di questi farmaci.
Dati di sicurezza dello studio COMPASS sull’uso di pantoprazolo in associazione a rivaroxaban e ASA
Sul numero di Settembre 2019 di Gastroenterology, sono stati pubblicati i dati di sicurezza relativi allo studio Compass, uno studio in doppio cieco, randomizzato, e controllato con placebo, condotto su 17.598 soggetti con malattia cardiovascolare stabile e malattia arteriosa periferica, finalizzato alla valutazione della prevenzione del danno cardiovascolare secondaria dall’assunzione di rivaroxaban (un anticoagulate orale) e ASA, in associazione a pantoprazolo o placebo.
I dati di outcome precedentemente pubblicati di questo studio, avevano evidenziato come rivaroxaban e ASA fossero in grado di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari negativi nei tre anni successivi alla randomizzazione, mentre i dati di sicurezza adesso pubblicati hanno riscontrato come gli eventi avversi a lungo termine sono stati simili tra i pazienti che hanno assunto pantoprazolo rispetto ai pazienti che hanno assunto placebo; con la possibile eccezione delle infezioni enteriche, che sono state leggermente più frequenti nel gruppo che assumeva pantoprazolo.
Da questo studio, che ha il vantaggio di essere scientificamente molto solido e robusto, si evince come gli inibitori della pompa protonica non sono associati a nessun danno a lungo termine (lo studio ha avuto una durata di tre anni), tranne forse alcune forme di infezioni intestinali (le infezioni da Clostridium difficile), sebbene tale affermazione richieda maggiori conferme prima di essere considerata definitiva.
Quindi, è probabile che i benefici legati all’assunzione di questi farmaci superino di gran lunga i rischi legati alla loro assunzione a condizione che vengano utilizzati ove clinicamente indicato e per indicazioni approvate. Inoltre, è importante sottolineare come l’allarmismo legato ad alcuni articoli spesso debba essere bilanciato da articoli che più attentamente pesino i rischi e benefici delle terapie, sulla base delle evidenze scientifiche più solide».