Fil rouge, l’innovazione: bussola che deve orientare lo sviluppo della ricerca, della tecnologia, della filiera farmaceutica, della salute nella sua globalità. Cambiando l’approccio di visione: considerando l’innovazione non un costo, ma un investimento, attuale e futuro, scientifico e tecnologico, con un fine ultimo: migliorare la salute e la qualità di vita della persona. Innovazione che deve esser governata e guidata dalla sostenibilità: efficientamento dei processi, minimizzazione degli scarti, riduzione di consumi e sprechi, ottimizzazione della produzione. Sostenibilità intesa come opportunità, per il pianeta, gli abitanti, l’azienda/industria comprese. Innovazione e sostenibilità significano anche sviluppo di nuove terapie, anticorpi monoclonali, strumenti digitali e Intelligenza Artificiale, nuove tecnologie. Tutte soluzioni che favoriscono e promuoveranno la costante crescita, avvicinando la scienza, la ricerca e la tecnologia al paziente/persona. Temi al centro del 63° Simposio AFI, tenutosi a Rimini (5-7 Giugno 2024), introdotti dal Presidente Giorgio Bruno, in occasione dell’inaugurazione dell’evento.

Un trinomio inscindibile

Ricerca, Innovazione, Sostenibilità: tre caposaldi dell’industria della salute che ne favoriranno il consolidamento quale asse, sempre più strategico, per il Paese. L’Italia ha mezzi e risorse per puntare a questi obiettivi: competenze, eccellenza di know-how e risorse umane, opportunità. «Dobbiamo essere pronti – ha dichiarato il Presidente Giorgio Bruno – a rispondere alla domanda crescente di servizi sanitari, in funzione dell’invecchiamento della popolazione, abbiamo necessità di un sistema regolatorio più efficiente e più semplice per favorire l’innovazione e sviluppare tecnologie, è necessario incrementare la collaborazione pubblico-privato, il dialogo tecnico-scientifico con le autorità, tenendo presente che fine ultimo dell’industria della salute è, come detto, il ben-essere delle persone e del territorio». E all’innovazione deve puntare anche e soprattutto, la ricerca, il progresso scientifico.

Non c’è cura senza ricerca

«Eppure si fa fatica ad apprezzare il significato di queste due parole, ricerca e cura – ha esordito Elena Cattaneo, Professore ordinario all’Università degli Studi di Milano dove dirige il laboratorio di biologia delle cellule staminali e farmacologia delle malattie neurodegenerative e Senatrice a vita – durante la Lectio Magistralis dall’omonimo titolo “Non c’è cura senza ricerca”, del 6 giugno – tanto che spesso l’impegno costante e quotidiano da parte dell’intera filiera per portarle avanti e conseguirle, con dedizione, abnegazione, entusiasmo e passione, non è conosciuto. Soprattutto dalla popolazione, il pubblico non sa quanto la cura e la ricerca siano e continueranno a essere dirompenti nella nostra vita. Basterebbe guardare al passato quando la lunghezza della vita media si fermava a 30 anni per tutte le specie, umane e animali, fino all’esplosione degli ultimi 150 anni in cui le aspettative di vita sono schizzate oltre gli 80 anni per entrambi i sessi». Grazie alle bonifiche dei territori, alla potabilizzazione delle acque, alla sanificazione degli ambienti, alla migliore alimentazione per un numero maggiore di persone, alle prime tecnologie che hanno aperto la mente, alla formazione di società organizzate che hanno migliorato la qualità di vita e al Sistema Sanitario Nazionale cha ha dato possibilità di cura. In ambito clinico: vaccini, anticorpi monoclonali, sperimentazione clinica, capacità di trasformare la conoscenza e lo studio in applicazione e beneficio per la società, hanno cambiato la storia di cura delle malattie e di vita nel nostro Paese. Trainata da alcune figure leader che hanno introdotto illuminate scoperte: tra le più autorevoli Rita Levi Montalcini, che non si è mai arresa alla “sfida” e alle difficoltà che si incontravano nel condurre ricerca allora, da parte di una donna, per di più ebrea. “Io resto in piedi”, disse in una delle sue ultime apparizioni all’età di 99 anni di fronte a un pubblico di migliaia di studenti universitari: frase emblematica. Rita Levi Montalcini è sempre rimasta dritta in piedi, senza cedere alle avversità, senza accettare condizionamenti e vie privilegiate a danno di tanti altri. Senza fermarsi davanti a nulla: lascia l’Italia, va all’estero per studiare e vi torna nel ’40, allo scoppio della Guerra, durante i bombardamenti su Torino. Nella sua casa allestisce un piccolo laboratorio di ricerca che la portò a rivoluzionare le conoscenze e le tesi sul sistema nervoso, scoprendo la “legge” dell’NGF (nerve growth factor, fattore di crescita nervoso) che la porterà al Premio Nobel e che favorirà lo sviluppo di un farmaco efficace per il trattamento di alcune malattie oculari. Quando le chiesero come avesse potuto non piegarsi mai alle avversità, rispose: “A me nella vita tutto è riuscito facile. Le difficoltà me le sono scrollata di dosso come acqua sulle ali di un’anatra”. O all’estero Katalin Karikò, donna contemporanea, ungherese, che scoprì i vaccini a RNA, dopo 15 anni di fallimenti, con l’auspicio di poterne sfruttare l’applicabilità in patologie oncologiche. «Queste storie – ha evidenziato Elena Cattaneo – hanno in comune due fattori: il metodo, scientifico e sperimentale, trasparente, verificabile e ripetibile come modalità regina per capire l’ambiente che ci sta attorno, e la libertà che impone la responsabilità di scegliere che tipo di professionista essere e dove andare. La libertà non è mai acquisita, va sempre conquistata, difesa e rivendicata. Anche quella scientifica che è sempre sotto attacco, ne è esempio la storia di Giulio Regeni che intese difendere lo studio dall’inquinamento di interessi personali. L’Italia in ambito di ricerca è una eccellenza: con pochi investimenti riesce a formare, a far crescere ricercatori ammirati all’estero e nel mondo, ma sconosciuti alle Istituzioni e alla popolazione. Come l’Università di Modena e Reggio Emilia e il San Raffaele di Milano, primi al mondo a sviluppare un farmaco a base di cellule staminali per la riparazione della cornea, come anche della pelle da una terribile malattia genetica, l’epidermolisi bollosa». Il successo di tutte queste storie? Immaginarsi una domanda, un quesito clinico, che sia dimostrabile scientificamente.  

AFI, un “luogo” di scambio e interazione

Fondata nel 1961, da Alessandro Rigamonti, recentemente scomparso, AFI ha lo scopo di promuovere iniziative culturali, il monitoraggio scientifico e l’aggiornamento professionale per gli associati. A parlare sono i numeri: 20 gruppi di lavoro che solo nel 2023 hanno dato vita a 190 incontri, oltre 13 mila followers su Linkedin, 140 mila visitatori al sito web interattivo di AFI, 66 mila visualizzazioni al sito del Simposio, 110 Newsletter prodotte e inviate per 150 mila interessati. «Numeri di cui vado orgoglioso – precisa Bruno – cui siamo arrivati anche grazie al lavoro, abnegazione, genio e ingegno di Alessandro Rigamonti», il cui ricordo è stato affidato a Giovanni Motta, socio storico di AFI e fraterno amico di Rigamonti: «Era un uomo alla mano, modesto, nonostante una Laurea Honoris Causa e numerosi riconoscimenti. Era gentilmente autorevole, con il proprio savoir-faire portava tutti a fare ciò che desiderava, riportava all’ordine con garbo, correggeva con discrezione e senza mai rompere i rapporti umani. Si preoccupò subito di fare informazione e comunicazione, creò e diffuse il Bollettino Farmaceutico, il Notiziario Chimico Farmaceutico, Manuali Applicativi di Buona Fabbricazione. AFI per il settore rappresentava per allora il “Data Bank” di oggi. Ha saputo intessere rapporti e relazioni umani: si preoccupò di aprire delle delegazioni regionali, di dialogare con tutto il mondo dell’indotto AFI e del settore, costruttori di macchine, fornitori di materiali, tecnologie, controllori, società di ingegneria, il mondo del farmaco, coinvolgendo l’Università anche in diversi aspetti produttivi, in un’epoca in cui l’accademia faceva solo la scienza, avviando così la creazione delle prime start-up. Ha promosso l’istituzione di Società Scientifiche e favorito l’internazionalizzazione di AFI e molto altro». Alessandro Rigamonti è stato un innovatore plasmando AFI a diventare quello che è oggi: un luogo in cui trovarsi e scambiare know-how. Capì che una persona possiede qualcosa solo quando più condividere il proprio patrimonio con gli altri.