Il meccanismo dei tetti di spesa e il conseguente payback è stato introdotto in Italia con l’obiettivo di contenere la spesa sanitaria. Il meccanismo prevede che, in caso di superamento del tetto a livello nazionale, le aziende che operano nel settore farmaceutico e dei dispositivi medici debbano restituire alle Regioni una quota percentuale dello sfondamento effettuato dalle singole Regioni. Al fine di comprendere meglio tale meccanismo, nonché il suo impatto sui budget delle imprese del settore, la sua efficacia a e le soluzioni adottate negli altri Paesi europei, abbiamo intervistato i professori Patrizio Armeni e Francesco Costa, Associate Professor of Government, Health and Not for Profit presso la SDA Bocconi di Milano.

L’introduzione dei tetti

Per parlare di introduzione dei tetti di spesa in Italia bisogna tornare indietro di circa 30 anni. Era il 1993, l’anno in cui per la prima volta venne stabilito il tetto massimo che poteva raggiungere la spesa sanitaria in ambito farmaceutico; dal 1998 si iniziò a chiedere un contributo alla filiera del farmaco in caso di suo superamento. «La legge finanziaria del 1998 determinò un tetto di spesa intorno agli 11-12 mila miliardi di lire, pari a circa 5-6 miliardi di euro. Contemporaneamente, fu chiesto il 60% di ripiano di questo sfondamento a carico della filiera – ha spiegato Patrizio Armeni – Era un mondo diverso, i farmaci erano prevalentemente quelli acquistati tramite le farmacie, quindi tramite spesa convenzionata. Poi nel tempo è evoluta la regolazione, ma si è sempre mantenuto lo schema fisso del tetto di spesa, che poi sono diventati due. Attualmente, abbiamo un tetto sulla spesa pubblica generata presso le farmacie aperte al pubblico (spesa convenzionata) e un tetto sui farmaci acquistati direttamente dalle strutture pubbliche (acquisti diretti) poi distribuiti o in struttura (reparti, ambulatori, distribuzione diretta) oppure, tramite uno specifico accordo di distribuzione “per conto”, dalle farmacie aperte al pubblico».

Spesa convenzionata e acquisti diretti

Oggi, il meccanismo prevede che venga programmato un ammontare massimo di spesa, il tetto, che si configura come una percentuale del finanziamento complessivo che il Governo eroga al SSN; detto ammontare viene quindi ripartito in due silos: uno che programma la spesa convenzionata e uno che programma invece la spesa per acquisti diretti, ossia i farmaci acquistati direttamente dalle strutture pubbliche. «Quello che abbiamo osservato negli ultimi anni è che mentre la componente convenzionata (caratterizzata da un tasso minore di innovazione e quindi da farmaci meno costosi che stanno subendo un processo di perdita progressiva delle protezioni brevettuali) non sfonda mai il tetto programmato, mantenendosi nell’ambito della spesa assegnata, la componente diretta sfora sempre il tetto», ha sottolineato Armeni. Purtuttavia, il tetto di spesa viene programmato di anno in anno in maniera incredibilmente bassa rispetto alla spesa storica, il che fa pensare che più che la spesa si programmi proprio il payback. Se la spesa diretta di un anno è pari a 12 miliardi, con un tetto di 10 per l’anno successivo, si ha la certezza dello sfondamento. Altresì, è impossibile pensare di recuperare l’intero delta tramite una migliore appropriatezza perché questo implicherebbe affermare che quasi un quinto della spesa è inappropriata; una argomentazione questa, evidentemente, poco credibile, oltre che vagamente offensiva per la classe medica.

Gli acquisti di farmaci da parte degli ospedali, o comunque quelli effettuati direttamente dalle strutture pubbliche, contengono anche le molecole più nuove che hanno un costo mediamente più elevato. «Proprio per evitare un eccessivo contenimento sui farmaci innovativi è stato creato un fondo ad hoc, che è un altro tetto (che è passato da 1 a 1,5 miliardi di euro) per farmaci cui l’AIFA riconosce delle caratteristiche cliniche specifiche. Ma anche quando un farmaco viene così definito innovativo, l’aiuto finanziario che riceve svanisce dopo massimo 36 mesi. Allo scadere del periodo di innovatività, la loro spesa si riversa sul tetto degli acquisti diretti con quel fenomeno che abbiamo definito “della grondaia”, determinando non poche difficoltà: da un lato le Regioni sono chiamate a garantire continuità nell’assistenza e quindi l’accesso, ma, dall’altro, vengono responsabilizzate sul rispetto del tetto. Se è vero che una parte dei soldi dello sfondamento viene chiesta indietro alle imprese, se la Regione è in deficit sanitario deve allocare la sua metà dello sfondamento a carico del budget dell’anno successivo», ha proseguito l’esperto.

Farmaceutica e dispositivi medici: criticità italiane

Farmaci e dispositivi medici vengono programmati separatamente. Nel farmaco, come sopra anticipato, i tetti sono due, mentre nel mondo dei DM c’è un unico tetto nonostante la grande eterogeneità del comparto. Anche il tetto sui DM viene determinato come percentuale del finanziamento complessivo e non è in alcun modo legato al bisogno. «In questo risiede il problema dei tetti che abbiamo attualmente in Italia, cioè il loro essere legati esclusivamente al finanziamento complessivo della sanità pubblica, senza alcun legame tra finanziamento e stima del fabbisogno, inteso sia come calcolo epidemiologico sia come capacità di leggere l’innovazione che verrà. Questo ci differenzia da altri Paesi come Francia e Regno Unito che hanno un sistema dove sono ammesse forme di payback ma dove il calcolo del finanziamento annuo si basa su stime epidemiologiche e su stime relative all’innovazione prevista – ha rimarcato Armeni – Noi ignoriamo il fabbisogno, e, partendo dal finanziamento complessivo della sanità, ritagliamo una fetta per il comparto farmaceutico e una per i dispositivi medici, a prescindere dall’innovazione prevista, dall’uscita di alcuni medicinali dai fondi innovativi e dai bisogni epidemiologici». Quindi, il problema del payback non è tanto che si chiedano soldi indietro alle imprese, anche Francia e Regno Unito lo fanno, ma è il modo in cui si arriva a farlo. 

Vuoi leggere l’articolo completo?