Il Consiglio europeo della competitività del 12 marzo scorso ha visto la presentazione di una briefing note (link) da parte di sette stati membri (Repubblica Ceca, Francia, Ungheria, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia e Spagna) volta ad alzare l’attenzione delle istituzioni sulla preoccupante situazione in cui versa l’industria chimica europea.
Alla base dell’iniziativa vi è la significativa crisi dell’industria chimica europea, che secondo la nota ha vissuto un calo della produzione del 12% nel periodo 2019-2023, attribuito sia ai maggiori costi energetici che a una strenua (e a volte poco leale) competizione da parte dei paesi extra-UE. Il solo settore petrolchimico potrebbe perdere 50 mila posti di lavoro di qui al 2035, scrivono i firmatari dell’appello, in seguito alla chiusura di una ventina di impianti di cracking. I sette paesi suggeriscono alla Commissione di dar vita a un Critical Chemicals Act, rivolto in modo particolare a supportare la produzione di una quindicina di molecole chiave per garantire la futura resilienza dell’Europa. Il tutto nel rispetto degli obiettivi di decarbonizzazione delineati dal Clean Industrial Deal, degli elevati standard europei in tema di ambiente e salute e del già esistente quadro Reach che governa il settore chimico.
Il Critical Chemicals Act più in particolare, dovrebbe rappresentare lo strumento per mettere a disposizione schemi di supporto dedicati agli impianti chimici che richiedono investimenti per modernizzarli e decarbonizzarli. L’iniziativa è anche volta a supportare il processo di trasformazione dell’industria chimica e a incoraggiare lo sviluppo di novità particolarmente dirompenti, con particolare attenzione alle molecole a basso contenuto di carbonio.
Le molecole critiche per l’industria chimica
Si tratta soprattutto di building block che alimentano diverse tipologie di applicazioni a valle, e che potrebbero rivelarsi fondamentali per garantire l’autonomia strategica dell’Unione. D’altro canto, si tratta per lo più di molecole considerate commodities, dal basso valore aggiunto ma i cui processi produttivi richiedono molta energia.
La nota presentata durante il Consiglio della competitività identifica quattro molecole strategiche per la produzione di polimeri e, più, in generale per la chimica organica: etilene, propilene, butadiene e benzene. Ad esclusione del propilene, le altre tre sono considerate critiche a causa dei significativi deficit nella bilancia commerciale e/o di importazioni molto concentrate.
Altrettanto strategiche sono l’ammoniaca e il metanolo, entrambe ottenute a partire dal gas naturale. La prima è utilizzata in modo particolare nei fertilizzanti per l’agrocoltura, il secondo alimenta molti processi industriali, a fronte di una capacità produttiva UE che copre meno del 50% dei consumi.
Tra le molecole inorganiche, il documento ricorda l’importanza del cloro e dell’idrossido di sodio, commodities ottenute soprattutto per elettrolisi e utilizzate ad esempio in numerosi processi chimici, per il trattamento delle acque o per applicazioni detergenti. Non meno important sono lo zolfo, il silicio e i carbonati di sodio, che anche in questo caso rappresentano materie prima a monte di varie catene produttive. L’acido fluoridrico, infine, è fondamentale in molti processi di sintesi di farmaci, polimeri ad alte prestazioni, batterie e trattamenti di superficie.
La nota richiama anche l’attenzione su due amminoacidi fondamentali per le catene alimentari dell’uomo e degli animali, la lisina e la metionina. L’appendice B del documento riporta anche una lista non esaustiva di possibili molecole bio-based che potrebbero essere utilizzate per rimpiazzare quelle da fonti fossili.