Il rapporto C.R.E.A. Sanità, presentato lo scorso 29 gennaio presso la sede del CNEL, ha raggiunto la sua ventesima edizione, due decenni in cui il sistema sanitario nazionale e l’intero Paese hanno subito importanti trasformazioni, innanzitutto demografiche, che vedono un significativo aumento della popolazione anziana e quindi crescenti bisogni sanitari connessi innanzitutto alla gestione delle cronicità. In questo periodo il sistema sanitario è stato fortemente depotenziato e nonostante i significativi finanziamenti integrativi assegnati al FSN dal post-Covid in poi, nominalmente di circa il 2% annuo, si evidenzia una riduzione in termini reali.
A ciò si aggiunge un “peccato originale”: il SSN viene finanziato con Iva e Irap da meno del 20% della popolazione, mentre il restante 80% versa al fisco meno del valore dei servizi sanitari che in media riceve. In questo contesto, l’universalismo ancora dichiarato si scontra con una sempre minore equità e una carenza di risorse. Per riallineare il nostro SSN ai Paesi dell’Europa Occidentale servirebbero 40 miliardi di euro, ma le risorse da sole, non sarebbero comunque sufficienti.
L’equità tradita
A confermare un’equità ‘tradita’ sono i dati della spesa sanitaria privata, pari a 41,4 miliardi di euro, di cui il 20% sostenuto dai nuclei familiari più poveri: 3,4 milioni di soggetti pari a 1,6 milioni di famiglie, si trova in una condizione di disagio economico rispetto alle spese sanitarie, e oltre 2 milioni di soggetti è costretto a sostenere ‘spese catastrofiche’ per curarsi, pari cioè ad oltre il 40% della ‘capacity to pay’. Il rapporto evidenzia, ancora, perduranti gap territoriali. Basti pensare che tra Liguria e Campania si riscontra una differenza nella spesa pro-capite assegnata pari a 150 euro. Se si attenzionano tuttavia i dati sulla mobilità sanitaria il divario raggiunge i 300 euro, toccando gli oltre 450 se si guarda anche alla spesa privata. «Se esistono Regioni più ricche – quelle del Nord – in cui le persone possono permettersi di comprare di tasca propria i farmaci in classe A riducendo l’onere a carico del Servizio Sanitario Nazionale, le risorse risparmiate dovrebbero essere destinate alle fasce più deboli della popolazione, un elemento questo ad oggi neppure considerato» ha ricordato Federico Spandonaro, Presidente del Comitato Scientifico C.R.E.A. Sanità.
Un gap incolmabile da 40 miliardi
L’Italia – evidenzia il rapporto C.R.E.A. – risulta ‘il più ricco dei Paesi più poveri’ con un gap di risorse per la sanità pari all’11,3%. «I finanziamenti recuperabili non riuscirebbero comunque a colmare il gap stimato in 40 miliardi. Difatti, al netto di tutte le compatibilità macro-economiche, comunque non aggirabili, per la sanità italiana si potrebbero recuperare 20 miliardi ma non risolverebbero il problema, se pensiamo che solo per assumere personale ne servirebbero 30 mentre aumentando gli stipendi per recuperare l’attrattività del SSN si arriverebbe a 40-50 miliardi. E’ dunque, soprattutto una questione di scelte» ha ribadito Spandonaro. Emerge chiaramente quanto il SSN non sia oggi più in grado di garantire un’assistenza universalistica e omnicomprensiva. Piuttosto che aumentare i LEA, sarebbe necessario trovare nuove soluzioni, attraverso scelte coraggiose.
40 esperti italiani, insieme al C.R.E.A., hanno messo a punto una roadmap articolata in 15 punti, il cui obiettivo principale è rendere il Servizio capace di riallineare le “promesse” alle risorse disponibili, evitando razionamenti impliciti che sono per definizione oggetto di ingiustizia perché penalizzano la popolazione più fragile, in termini di salute ma, ancor di più, di censo e di literacy sanitaria. Per fare ciò, l’intervento pubblico deve allargare i suoi confini occupandosi della governance di tutto il sistema, ivi compresa la rilevante quota dei servizi sanitari privati.
La razionalizzazione poi, implica innanzitutto delle scelte. Le opzioni possono essere – illustra il rapporto – agire in base alla severità clinico/assistenziale dei bisogni (priorità alle patologie più severe), oppure in base al merito delle risposte (dando priorità agli interventi a maggiore valore terapeutico o valore sociale). O ancora in base alle barriere all’accesso (dando priorità ai bisogni dei meno abbienti e/o dei meno “sanitariamente alfabetizzati”).
“Avere una vision implica priorità – afferma il Rapporto – e darsele implica, per definizione, fare scelte politicamente ‘scomode’: una considerazione che porta ad affermare che è necessaria una condivisione super-partes sull’adeguamento dei principi dell’intervento pubblico (governance) in Sanità, che eviti il rischio che la Sanità sia oggetto di mero scontro partitico”.